David Koepp, professionale e ben remunerato sceneggiatore abbonato a costosi blockbuster (da "Jurassic Park" a "Spider Man" sino all'ultimo
Indiana Jones, ma anche "Carlito's Way") si cimenta nuovamente alla regia (è la sua quarta) e ancora ritorna a parlare di fantasmi e presenze soprannaturali. Solo che questa volta l'atmosfera e la chiave di lettura non sono orrorifiche come nel sottovalutato "Echi mortali" (1999), ma vengono ribaltate in commedia e farsa. I fantasmi esistono, invisibili, sono in mezzo a noi, li attraversiamo senza accorgercene (e quando succede capita che scappi uno starnuto), bloccati nel nostro mondo perché hanno un conto in sospeso con qualcuno (o talvolta è un loro caro che ha un conto in sospeso con essi). Se ne accorgerà, con estremo fastidio, il pingue e misantropo dentista Bertram Pincus, che dopo un'operazione di routine in cui non tutto è andato secondo i piani, scopre di essere l'unico a poter vedere, e parlare, con queste presenze spiritiche. In particolare, il defunto Frank, impenitente playboy, lo implora di far saltare le nozze tra la sua bella vedova e un avvenente, e insopportabile, avvocato. E il cuore inaridito del Dottor Pincus ricomincia a battere.
Koepp rubacchia idee e spunti da tante altre cose, dal classico "Canto di Natale" di Dickens (Pincus è l'ennesimo Scrooge cinematografico), a "Ghost" (il fantasma innamorato che si serve di un'altra persona per comunicare con la moglie), a "Il paradiso può attendere" ma anche a modelli come "Qualcosa è cambiato" (l'"eremita" che piano piano riscopre l'amore e il piacere di vivere; tra l'altro il personaggio di Greg Kinnear riveste un ruolo speculare a quello del film di James L. Brooks), ma centra il tono scanzonato e leggero, e soprattutto indovina il volto del protagonista, che è quello di Ricky Gervais, comico inglese molto popolare in patria (è la star dell'ottimo serial tv "The Office"), purtroppo sconosciuto da noi (qualcuno forse lo ricorderà in piccoli ruoli in "Stardust" o "Una notte al museo"). Gervais, con il suo humour sottile e raffinato, fa dell'"
understatement" la ragione della sua comicità (un po' come Bill Murray), ed è ancora più esilarante quando abbandona le sue pose da vecchio cinico per tentare di approcciare la bella vedova vicina di casa. La svolta sentimentale dell'ultimo terzo di film non è essenziale ed è un po' stiracchiata, la regia è molto classica, la colonna sonora memorabile (
Beatles,
Wilco, Brendan Benson ecc.).
Insomma, nulla di epocale, ma rispetto alle volgari commedie che passano in convento oggi, "Ghost Town" ne esce come un capolavoro. Anche se, a causa della penosa distribuzione, non lo vedrà nessuno.
20/07/2009