A volte (inevitabilmente) ritornano. Ma si sa, that’s Hollywood. Prima i cavalieri Jedi di “Star Wars”, il John McLane di “Die Hard”, poi Rocky e Rambo, e infine (si fa per dire) l’archeologo più famoso del grande schermo: Indiana Jones. Diciannove anni d’attesa per questo progetto, infinite riscritture (lo script è passato pure dalle mani del bravo Frank Darabont, poi “licenziato”), continui ritardi dovuti ai mille progetti di Spielberg. Ma, nonostante tutto, eccolo qui, il nostro caro vecchio Indy. Nessuna ragionevole motivazione per il ritorno di questo mito degli anni 80, a parte, ovviamente, il botteghino, e il tentativo di rilanciare la carriera in declino di Harrison Ford (reduce da alcuni tremendi flop).
Il risultato? Così così. Com’è l’Indiana Jones degli anni Duemila? Farà dell’ironia sui tanti anni che si porta sul groppone come Bruce Willis nell’ultimo “Die Hard”? Sarà nostalgico-revisionista come il “Rambo” di Stallone? Macché. Spielberg e il produttore-deus ex machina Lucas sono corsi ai ripari, girando un’avventura-fotocopia dei tre precedenti episodi.
Così, dopo una bella, e spiazzante sequenza d’apertura, che omaggia il capolavoro con cui Lucas si è fatto conoscere al grande pubblico (parliamo di “American Graffiti”), il plot segue per filo e per segno la struttura narrativa delle antecedenti avventure del Dr. Jones: l’incipit avventuroso che mette in scena i personaggi principali (ambientato nell’inquietante archivio del soprannaturale che ci era stato mostrato al termine dei “Predatori dell’Arca Perduta”), l’indagine su un oggetto misterioso che porta il nostro eroe in giro per il globo (in questo caso un teschio di cristallo dagli strani poteri), l’inseguimento tra buoni e cattivi (capitanati da una Cate Blanchett con caschetto nero corvino), il grande finale mistico (in un tempio Maya). Il tutto condito con i soliti tocchi d’ironia, richiami alla vecchia trilogia (meglio non svelarli), conflitti familiari a lieto fine (Indy scopre d’essere padre), e momenti di genuina paura (l’attacco delle formiche giganti).
Tutto da copione, messo in scena da Spielberg con la consueta maestria tecnica (da cardiopalma l’inseguimento nella giungla), e il leggendario motivetto di John Williams a fare da colonna sonora. Ma qualcosa non va. I tempi sono cambiati, noi siamo cambiati e Indiana Jones è cambiato. La magia dei vecchi film non si ripete, e se negli anni 80 “I Predatori dell’Arca Perduta”, con il suo inconsueto mix tra film avventuroso anni 30 e horror, era una novità assoluta, oggi, tra “Misteri dei Templari”, “Mummie” e cento pellicole simili, è arduo stupire il pubblico. Stona poi il continuo ricorso ad effetti digitali (laddove, nella vecchia trilogia, era proprio lo spirito da film di “serie b” a rendere il tutto più “speciale”), con esiti ora eccessivi (nel finale), ora pacchiani (Shia LaBeouf che si lancia di liana in liana come Tarzan).
Ma, innanzitutto, è la sceneggiatura (firmata dal modesto David Koepp) a scricchiolare, infarcita com’è di troppi elementi (guerra fredda e Kgb, esplosioni nucleari, addirittura gli Ufo) e troppa azione, che alla lunga saturano. Una sceneggiatura che relega il rapporto conflittuale tra Indy e il figlio ritrovato (carta vincente de “L’Ultima Crociata”) a un pugno di sequenze.
E poi lo stesso personaggio di Indiana Jones ha perso smalto: da scanzonato avventuriero, spesso dedito al furto di antiche reliquie, diventa più controllato, meno simpatico e sfrontato, e mette pure su famiglia (ritrovando l’amata del primo episodio, la Marion intepretata da Karen Allen). Harrison Ford, poi, è incredibilmente imbolsito, e nelle sequenze acrobatiche si fa palesemente sostituire da uno stuntman.
Insomma, funziona o no questo nuovo “Indiana Jones”? Diverte, a corrente alternata, non annoia, e probabilmente convincerà i fan nostalgici e irriducibili della serie. Verdetto: un discreto pop corn movie, nulla più, nulla meno.
cast:
Harrison Ford, Shia LaBeouf, Cate Blanchett, Karen Allen, John Hurt
regia:
Steven Spielberg
titolo originale:
Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull
distribuzione:
UIP
durata:
122'
sceneggiatura:
David Koepp, George Lucas
fotografia:
Janusz Kaminski