Ang Lee è un regista taiwanese con una lunga cinematografia pluripremiata. Ha vinto due volte il Festival di Berlino (“Il banchetto di nozze” nel 1993 e “Ragione e sentimento” nel 1996), il Leone d’oro della Mostra Internazionale di Venezia prima con il magnifico “I segreti di Brokeback Mountain” nel 2005 e due anni dopo replicando con “Lussuria – Seduzione e tradimento”. Una sfilza di premi Oscar, Golden Globe e tutti i riconoscimenti possibili del settore, tra cui citiamo in particolare il fenomeno de “La tigre e il dragone” (2000) e il relativamente recente “Vita di Pi” (2012). Un autore che ama mescolare generi tra melodrammi storici e contemporanei, avventura, drammi e fondere cultura orientale e occidentale con estrema semplicità, focalizzando la sua attenzione sullo sviluppo psicologico dei personaggi e la bravura nella messa in scena e la sperimentazione linguistica.
Questo per dire che “Gemini Man” è l’ultima fatica di un percorso autoriale di un certo livello e quindi le attese erano quantomeno di assistere a un film di un certo interesse. Ma non è stato così.
“Gemini Man” racconta la storia di un soldato perfetto (Will Smith), un killer che riesce a uccidere un uomo su un treno in movimento, alle dipendenze della Dia (Defense Intelligence Agency) americana, che decide di andare in pensione. Ma scopre che il suo ultimo lavoro è stato un errore: al posto di eliminare un pericoloso terrorista ha ucciso uno scienziato russo che lavorava alla clonazione umana. Ovviamente, nel momento in cui investiga, il responsabile (Clive Owen) di un’agenzia paramilitare, la Gemini, che lavora per la Dia, gli lancia contro il suo clone più giovane e meglio addestrato.
La storia di per sé è alquanto piatta, prevedibile, con scontri a fuoco tra Will Smith e il suo doppio che rasentano il ridicolo. La sceneggiatura girava da molti anni negli studios hollywoodiani ed è passata nelle mani di diversi scrittori – tra gli ultimi, autori del calibro di Billy Ray e David Benioff (quello de “La 25ª ora”, tanto per intenderci) – che sembra si sia impoverita nei vari passaggi con un risultato finale che lascia esterrefatti per l’inconsistenza narrativa e la povertà nella descrizione dei personaggi.
Il lungo periodo di gestazione è dovuto allo sviluppo delle tecniche di ripresa utilizzate per “Gemini Man”: da un lato la maturazione di sofisticati software per il ringiovanimento e la modellazione facciale, per permettere di inserire il clone di Will Smith come controparte; dall’altro, la ripresa in High Frame Rate con 120 fotogrammi al secondo in formato 3D+ nativo che permette una maggiore profondità di campo e l’utilizzo di una palette cromatica più pulita. Ang Lee, a quanto pare, ha accettato di lavorare a questo progetto proprio per scoprire questi nuovi mezzi di ripresa.
Peccato però che la tecnologia senza una storia forte sia un’operazione fine a se stessa e diciamo anche un po’ onanista. Il cinema è emozione, passione, empatia, creazione di pensiero e la tecnologia è lo strumento con cui trasmettere tutto questo. Ma mancando la materia prima – l’emozione – “Gemini Man” risulta essere un esercizio tecnologico senza cuore né anima. Del resto, anche il 3D è del tutto superfluo perché non cogente con la messa in scena, come succedeva, ad esempio in “Gravity” di Alfonso Cuaron dove lì, sì, il 3D era funzionale nella costituzione di una forma filmica che produceva senso. Al contrario, quello di “Gemini Man” è ininfluente per la rappresentazione visiva, così come il modellamento facciale di Will Smith risulta persino inferiore alla fruizione dello spettatore rispetto al lavoro fatto dalle Wachowski in “Matrix Revolutions”.
Insomma, “Gemini Man” nella sua espressione ipertecnologica ha creato un prodotto spettacolarmente confuso e drammaturgicamente debole in cui tutto esplode in mille frame in un boato di vuote immagini.
cast:
Will Smith, Clive Owen, Mary Elizabeth Winstead, Benedict Wong, Ralph Brown
regia:
Ang Lee
distribuzione:
20th Century Fox
durata:
117'
produzione:
Jerry Bruckheimer Films, Overbrook Entertainment, Skydance Media, Fosun Pictures
sceneggiatura:
Billy Ray, Darren Lemke, David Benioff
fotografia:
Dion Beebe
scenografie:
Guy Hendrix Dyas
montaggio:
Tim Squyres
costumi:
Suttirat Anne Larlarb
musiche:
Lorne Balfe