Giovane autore britannico con una carriera divisa tra cinema e televisione, Ben Wheatley ha saputo costruirsi la nomea di regista cult grazie a una manciata di film intelligenti e accattivanti nella loro spiazzante originalità. Con titoli come "Kill List" e soprattutto "
Killer in viaggio", è riuscito a imporsi all'attenzione di cinefili e
aficionados come esponente di riferimento delle
black comedy contemporanee, a metà tra humor inglese a denti stretti ed esplosioni splatter, di quelle che avrebbero trovato fortuna tra gli studenti universitari che affollavano le famigerate proiezioni di mezzanotte negli anni 70.
Archiviato il discutibile "
High-Rise: la rivolta", incursione
high budget nel genere distopico, con "Free Fire" Wheatley torna a maneggiare un materiale narrativo a lui più congeniale. L'azione, infatti, prende avvio - e, in verità, si consuma interamente - in una notte cupissima del 1978, nella periferia polverosa e degradata di Boston. All'interno di una fabbrica dismessa, due gruppi di criminali da strapazzo si incontrano per portare a termine un illecito traffico d'armi. Il folto gruppo è variamente composto dai personaggi più improbabili, dal dandy inappuntabile al
junkie riottoso fino alla femme fatale cinica e spietata, tutti (o quasi) sull'orlo di una crisi di nervi, anche se le reciproche diffidenze si limitano a qualche screzio e scintilla superficiale. Proprio quando l'affare sembra essere andato in porto, un fortuito riconoscimento tra due membri delle gang rivali scalda gli animi e innesca una pioggia di proiettili a cui nessuno può sottrarsi.
Coadiuvato dalla sodale Amy Jump in fase di sceneggiatura, Wheatley imbastisce una commedia pulp ispirata piuttosto esplicitamente alla lezione di
Tarantino, che trova nell'adesione granitica alle tre unità aristoteliche il suo miglior pregio e, allo stesso tempo, il suo più forte limite. Da una parte, infatti, la claustrofobia della contingenza si rivela un efficace espediente per spingere i protagonisti al limite delle proprie potenzialità, esasperandone con gusto sadico i tratti più succulentemente caricaturali e dirompenti.
Dall'altra, però, una regia malferma e forse non abbastanza matura, finisce presto per mostrare la corda di un gioco che si regge su equilibri esilissimi e meccanismi pretestuosi, all'interno del quale le pistole si inceppano proprio al momento opportuno, le ferite non sono mai davvero mortali e gli estintori compaiono provvidenzialmente al momento del bisogno. Incapace di delineare la necessaria geografia degli spazi e di tracciare le debite simmetrie dell'azione, Wheatley riduce "Free Fire" a una sterile girandola di urla, insulti, minacce e pallottole alla rinfusa, che, col progredire della narrazione, perde in lucidità e sagacia per approdare ineluttabilmente alla noia. Una camera in movimento perpetuo e un montaggio (iper)frammentato non fanno che aumentare la sensazione di confusione imperante, tanto per i protagonisti quanto per gli spettatori.
Alla fine, in questa sanguinosa lotta tra bande senza vincitori, rimangono le prove di un cast di caratteristi in forma smagliante, qualche sferzata di umorismo nerissimo e la zoppicante Brie Larson con fucile a mo' di stampella, a citare l'iconica (quella sì) Rose McGowan di "
Grindhouse - Planet Terror". Davvero troppo poco per un film che ambisce fare il verso alle "iene" di tarantiniana memoria.