Nell'edizione 72 del Festival di Cannes era stato presentato nella sezione Quinzaine des Réalisateur uno degli ultimi lavori di Takashi Miike, "L'ultimo yakuza" ("Hatsukoi" in giapponese, "First Love" nel più corretto titolo internazionale), distribuito in Italia dalla Eagle Pictures sulle principali piattafome di streaming nel marzo 2021.
Durata contenuta (108'), solido compartimento produttivo in cui spicca il nome del veterano Jeremy Thomas, le consuete maestranze tecniche e artistiche tirate a lucido, "L'ultimo yakuza" non esula dal percorso mainstream intrapreso dal cinema di Miike nell'ultimo decennio. Eppure, resta affascinante scoprire quali idee il regista nipponico tiri fuori per far deragliare il plot oppure per spiazzare i propri personaggi calati nel suo universo filmico. La prima immagine con una testa decapitata che rotola sulla strada ricorda varie intuizioni weird del passato, come in "Fudoh: The New Generation" (1996) o "Deadly Outlaw: Rekka" (2002). È quasi la firma in epigrafe a sancire che questo è comunque un film di Takashi Miike e, pertanto, bisogna essere pronti a (vedere di) tutto.
Il racconto è scandito in due parti, secondo un procedimento di scarto e progressione caro al regista di "13 assassini" e de "Il canone del male". Nella prima conosciamo i protagonisti e le pedine vengono disposte in campo: Leo Katsuragi, una giovane promessa della boxe, scopre dopo una sconfitta sul ring di avere un tumore terminale al cervello; Monica è una giovane tossicodipendente venduta dal padre a una gang perché si prostituisca così da ripianare i debiti; Kase, un giovane affiliato della yakuza, decide di tradire il proprio clan mettendosi d'accordo con un poliziotto corrotto. Nella seconda parte, mentre l'elaborato piano di Kase inizia a confrontarsi con più di un inconveniente, Monica si scontra per strada con Leo, il quale si sente in dovere di aiutarla e viene trascinato in una corsa notturna finendo per essere immischiato in una vera e propria faida.
L'inventario del cinema di Miike viene calato in un quadro romantico apparentabile al bellissimo e sottostimato "For Love’s Sake" (Ai to Makoto, 2012). I due protagonisti sono entrambi degli outcast soli e privi di radici, che inconsciamente tentano di salvarsi a vicenda: Leo, sentendo di non aver più nulla da perdere, decide di lottare per una buona causa, proteggendo la ragazza sia da nemici visibili che invisibili (uno degli elementi più disturbanti è l'allucinazione del padre in mutande che la insegue). La traiettoria narrativa dei due protagonisti si interseca alla classica trama dello lotta tra gangster, più volte trattata con l'usuale piglio iconoclasta dall'autore, come se le folli peripezie vissute equivalessero alle prove necessarie per il raggiungimento della maturità in un coming of age che ha i tempi compressi del noir metropolitano. Ed è forse inevitabile che siano i personaggi secondari, appartenenti al sottobosco criminale di Tokyo, a fare da catalizzatore nel momento in cui la faida divampa, una lotta che vede contrapporsi un clan yakuza a uno cinese. Miike dà fondo a quell'umorismo in cui il macabro e il perverso si confondono col demenziale, attraverso gli irresistibili personaggi di Kase, che vede sfaldare il proprio machievellico piano trasformandosi in un criminale isterico e fuori di testa, e di Julie che, armata di qualsiasi corpo contundente, è una iconica e inarrestabile macchina da guerra decisa a vendicare il proprio fidanzato. Ma è probabilmente sul versante cinefilo che regala più soddisfazioni: il maestro di Osaka infatti omaggia sia l'immaginario degli yakuza eiga, sia quello dei wuxiapian nel momento in cui i leader delle due gang si fronteggiano: da una parte il giapponese Gondo e dall'altra il cinese Wang Do. Se Gondo rimanda al mitico Ken Takakura (per altro citato nel corso del film), è difficile non vedere in Wang, che spara e duella con un braccio solo (l'altro gli è stato amputato durante una guerra precedente), un ammiccamento all'eroico "One-armed Swordsman" di molte pellicole dello Shaw Brothers Studio.
La sequenza dell'inseguimento automobilistico che sballotta la macchina da presa segna – insieme all'esplosione in primo piano delle composizioni di Koji Endo - il punto di partenza per uno spericolato showdown finale durante il quale Miike si sente finalmente libero di sbizzarrirsi in scene di violenza e spruzzi gore. I personaggi vengono disposti all'interno di un grande magazzino di ferramenta e la regia, giocando con lo spazio scenico e il montaggio, li fa incrociare tra le corsie scatenando conflitti a fuoco o assalti all'arma bianca. I continui rivolgimenti di segno nelle sorti dei personaggi rende "First Love" apparentabile all'ormai estinto filone pulp ma, come spesso accade nelle sue opere, i suoi protagonisti hanno un alone cinematografico denso anche quando la caratterizzazione rasenta l'inconsistenza. E alla fine di questa cavalcata divertente e iper-cinematografica, Miike si concede un'ultima inquadratura in campo lunghissimo che conferma l'etica e il romanticismo del proprio sguardo.
cast:
Masataka Kubota, Sakurako Konishi, Shôta Sometani, Nao Omori, Becky , Seiyo Uchino, Mami Fujioka, Yen Cheng-kuo, Jun Murakami, Takahiro Miura
regia:
Takashi Miike
titolo originale:
Hatsukoi
distribuzione:
Eagle Pictures
durata:
108'
produzione:
OLM, Recorded Picture Company
sceneggiatura:
Masaru Nakamura
fotografia:
Nobuyashu Kita
scenografie:
Takeshi Shimizu
montaggio:
Akira Kamiya
musiche:
Kôji Endô