Il casuale ritrovamento di due scheletri da parte di una donna e il suo cane è la suggestiva cornice in cui Kelly Reichardt decide di incastonare "First Cow", uno straordinario apologo sull'amicizia e la lotta per la sopravvivenza.
Siamo in Oregon, agli inizi del diciannovesimo secolo. A margine di una piccola spedizione di cercatori d'oro, il giovane cuoco "Cookie" salva la vita a King-Lu, un immigrato cinese, accusato di omicidio. I due si ritroveranno in seguito presso il forte della zona, un avamposto i cui dintorni sono attraversati da gente di ogni genere: cacciatori, indiani, mercanti, soldati, in un crogiolo di vite al bivio che rappresentano l'anima di un Paese, quello americano, che si sta formando. I due uomini stringono un'amicizia del tutto spontanea perché si completano a vicenda: al talento di "pasticciere" di Cookie, infatti, si unisce l’intraprendenza commerciale del cinese. Il cuoco e King-Lu vagheggiano di aprire un albergo a San Francisco, e per accumulare il primo capitale cominciano a sfornare biscotti "fatti in casa" e a venderli. L'espediente per procurarsi il latte, la materia prima necessaria, è reso possibile grazie all’arrivo della "prima mucca", l'unico esemplare bovino della zona, di proprietà di un ricco mercante inglese. Ma mentre Cookie e l'amico vendono pasticcini e torte senza sosta, incassando sempre di più, si accorgeranno ben presto che anche per loro c'è un prezzo da pagare.
È troppo lunga la lista dei cineasti americani che si sono cimentati col racconto della frontiera, nei luoghi che hanno sancito la nascita della loro nazione; la Reichardt si era già messa alla prova col western e l’ambientazione rurale, portata sullo schermo con uno sguardo da antropologa. Così come realizzato in "Meek's Cutoff", infatti, alla regista interessa mettere in scena la lotta per la sopravvivenza in un luogo inospitale, vergine e crudele, che però lascia intravedere il futuro e le possibilità illimitate, in una parola la speranza, specie quando gli uomini solidarizzano, come capita a Cookie e a King-Lu, il primo sperduto e talentuoso, l'altro straniero ma intraprendente. Eppure, nonostante vediamo fucili e coltelli, sentiamo parlare di assassini, il racconto di "First Cow" resta dentro il quotidiano: una storia di biscotti e di un furto in fin dei conti innocente, che ci tocca da vicino come se ci fosse raccontato intorno al fuoco di un camino, con pause studiate e la giusta lentezza.
Il sogno americano, la fede nel progresso, nel Paese delle possibilità sconfinate è rappresentato dalla Reichardt nel tentativo di Cookie e di King-Lu di elevare la propria condizione, portando avanti un'attività al fine di realizzare i propri desideri. C'è in nuce persino il conflitto di classe, storico, tra immigrati e americani poveri da una parte e ricchi proprietari inglesi dall’altra, in un'economia primordiale che ci ricorda com’è nato il capitalismo, quale sia la filiera produttiva, come funzioni il commercio e quanto l’anima di un uomo possa dedicarsi a esso, rischiando persino la propria vita pur di farlo funzionare.
Gli utensili rudimentali che Cookie adopera per cucinare, le monete spezzate, le banconote scritte a mano, le padelle, gli indumenti sudici e gli stivali bucati, i pezzetti di sughero per giocare a dama potrebbero trovarsi in un museo contadino ma sono la rappresentazione vivida di un mondo che non c'è più, lontanissimo, quasi un altro pianeta se non fosse che i desideri, gli occhi e i respiri degli uomini che abitano case messe in piedi coi rami degli alberi, sono tuttora i nostri. Una sensibilità rara che la regista originaria della Florida aveva padroneggiato con estrema sapienza già nel precedente "Certain Women"; lo stile resta spartano, con pochi movimenti di macchina, il formato ristretto e le concessioni quasi nulle alla spettacolarizzazione, nonostante la sceneggiatura (scritta a quattro mani con Jonathan Raymond, autore del libro da cui "First Cow" è tratto) è abilmente retta da una suspense che funziona senza forzature. Stavolta la pienezza della rappresentazione filmica si arrischisce ulteriormente della maggiore vicinanza rispetto all'oggetto del proprio racconto, denso di primi piani, intenso, spesso struggente.
cast:
John Magaro, Orion Lee, Toby Jones, Ewen Bremner, René Auberjonois
regia:
Kelly Reichardt
durata:
121'
produzione:
Film Science
sceneggiatura:
Kelly Reichardt, Jonathan Raymond
fotografia:
Christopher Blauvelt
scenografie:
Anthony Gasparro
montaggio:
Kelly Reichardt
costumi:
April Napier
musiche:
William Tyler