Che Gabriele Muccino avesse gli strumenti in regola per fare bene nel cinema americano lo avevamo capito prima che il regista sbarcasse a Hollywood per girare la sua prima produzione internazionale. A farcelo pensare era stato soprattutto lo smalto luccicante delle immagini e la capacità della macchina da presa di creare l'illusione di un continuo movimento laddove le storie si presentavano per lo più impantanate nella rabbia e nelle disillusioni generazionali dei suoi personaggi. Dopo lo sbalorditivo debutto coinciso con l'inaspettato successo di "La ricerca della felicità" e il connubio con la star del momento, quel Will Smith con cui Muccino girò anche il meno fortunato "Sette anime", il percorso americano del nostro ebbe come contraccolpo un prosieguo non altrettanto felice che, dopo qualche anno, lo riportò ai nostri lidi.
A quell'esperienza Muccino dimostra di non aver mai smesso di pensare se è vero che dopo aver trovato il modo di tornare negli Stati Uniti per girare "L'estate addosso", oggi rinnova la sua voglia d'Oltreoceano attraverso un film - "Fino alla fine" - che sembra una sorta di dichiarazione d'amore a un mondo bello e (im)possibile come quello del cinema hollywoodiano. Per farlo però decide di compiere un viaggio opposto a quello del 2016, a partire dall'inversione di sguardo che fa dell'Italia - e non dell'America - la terra promessa e di un personaggio americano, Sophie (interpretata dall'atletica Elena Kampouris), la protagonista della storia. Ma c'è di più, perchè Muccino nel cercare di mescolare le due culture, la nostra e quella anglosassone, si sbilancia a favore della seconda, riferendosi in particolare alla letteratura di Henry James del quale ripropone il modello della Young American Woman la cui voglia di libertà e d'indipendenza si esplica come da tradizione in un contesto attraente ma subdolo rappresentato dal Vecchio Continente, da sempre sinonimo di un altrove che, nel romanziere americano, è indicato più di altri come quello capace di mettere a rischio l'identità e i valori del paese a stelle e strisce.
In questo senso la trama di "Fino alla fine" appare finanche paradigmatica nel fare di Sophie l'eroina destinata a rimanere coinvolta nel giro di vite che trasformerà la sua vacanza a Palermo in un vero e proprio incubo. Quintessenza del salutismo americano e dell'idea fresca e vitale dell'America costruita a colpi di spot pubblicitari, Sophie segue il percorso che ci si aspetta da un personaggio come lei, a cominciare dalla fascinazione subita nei confronti di un paesaggio esotico e sensuale, per proseguire con l'innamoramento nei confronti di un giovane bello e pericoloso (per il gruppo di amici che frequenta) e finanche per quello spirito vitale e primitivo su cui il cinema statunitense ha costruito il mito della nuova nazione.
Se la "cartolina" siciliana più tradizionale è coerente alla visione che hanno gli americani del Bel paese, più interessante è la versione notturna di Palermo, quella che introduce il cambio di passo e dunque il passaggio da quello che sulle prime sembrava essere una commedia drammatico-sentimentale, dai tempi di "Come te nessuno mai" marchio di fabbrica del regista romano, a una vera e propria crime story, con Sophie coinvolta da Giulio (Saul Nanni, apprezzato in "Brado" di Kim Rossi Stuart) e dai suoi amici negli affari della malavita locale.
Nel genere crime Muccino debutta senza farsi mancare nulla in termini di ritmo e tensione, con furti, inseguimenti, sparatorie e bagni di sangue che mescolano elementi di sottogeneri come l'heist movie e il mob movie per dare vita a un "cuore di tenebra" che omaggia ancora una volta l'immaginario del cinema americano citando il superomismo di "Point Break" e la corsa ostacoli all night long che rimanda nientedimeno che al celebre "I guerrieri della notte" di Walter Hill. Un immaginario, quello appena descritto, che il regista gestisce con l'intento di non perdere la propria identità e nell'ambizione di arricchire il proprio bagaglio drammaturgico con qualcosa di mai sperimentato. Nel farlo mantiene intatto il suo stile, e cioè quello di una narrazione supportata dalla capacità di saper far correre immagini alimentate da un carburante emotivo altamente incandescente: il che andrebbe anche bene se non fosse che il contatto con una materia a elevato voltaggio, per le fibrillazioni prodotte quando si tratta di rischiare la vita, prevederebbe soluzioni capaci di abbassare la tensione. Il fatto che questo non succeda comporta passaggi in cui l'isteria mucciniana sommandosi all'andamento survoltato tipico del genere provoca un'overdose emozionale che finisce per togliere forza ai momenti topici del film. Tutto questo al netto di un film che ha comunque dalla sua quella di saper intrattenere i "suoi" spettatori.
cast:
Lorenzo Richelmy, Saul Nanni, Elena Kampouris
regia:
Gabriele Muccino
distribuzione:
01 Distribution
durata:
118'
produzione:
Lotus Production con Rai Cinema, Adler
sceneggiatura:
Paolo Costella, Gabriele Muccino
fotografia:
Fabio Zamarion
scenografie:
Massimiliano Sturiale, Ilaria Fallacara
montaggio:
Claudio Di Mauro