Lo stand-up comedian è una figura tipica dello spettacolo nei club e nei locali americani: in piedi, davanti al pubblico con un microfono e un repertorio di barzellette, battute salaci, giochi di parole. Da Bob Hope a Woody Allen, da Lenny Bruce a Robin Williams (tanto per citarne alcuni tra i più famosi) gli esempi si sprecano. E' la gavetta di molti comici americani per poi fare il salto nel cinema o in televisione oppure diventare famosi tenendo spettacoli nei teatri di Broadway o Las Vegas. Ma la maggioranza orbita all'interno di circuiti per tutta la loro carriera. Il giovane regista americano Rick Alverson sceglie di raccontare la vita di uno di quest'ultimi, un comico non più giovane in tournée in locali di terz'ordine nel sud desertico della California.
Il taglio narrativo scelto da Alverson è minimalista, lavora di sottrazione e di comparazione di scene significanti. Così alle sequenze dei locali (pub, prigioni, spettacoli all'aperto o feste private) dove il comico senza nome si esibisce in uno spettacolino sempre più tragico e farsesco, alterna scene in mezzo al deserto, paesaggi vuoti dove spuntano auto bruciate, vecchi villaggi ormai morenti, o cimiteri di aerei. Il personaggio si muove come in uno stato di trance, osservatore triste e depresso di un mondo dove l'umanità è scomparsa. Il comico parla al telefono con una figlia che non risponde mai, ma che sappiamo con certezza della sua esistenza dall'incontro con il cugino (un John C. Reilly in una piccola parte straniante e la sequenza dove canta seduto nel deserto con il cappello e gli occhiali scuri vale da sola la visione del film) che non vedeva da anni. Questo elemento introdotto nella sceneggiatura elimina il sospetto che la figlia sia una fantasia del protagonista e invece è più probabile la sua recente scomparsa, se vogliamo leggere dei segni inequivocabili di morte legati strettamente al personaggio: il primo quando è nel villaggio dei pionieri abbandonato si siede su una panchina a fianco di una bara aperta, in un totale che mette l'oggetto e il personaggio allo stesso livello; il secondo, quando una sera, in un motel sperduto, dopo uno spettacolo, sente delle grida e aiuta a partorire una giovane donna. Qui abbiamo un totale della ragazza immobile in una pozza di sangue e con un controcampo viene messo in quadro il comico stravolto, imbrattato e con in braccio il neonato morto.
Ma se la possibile assenza (morte) della figlia può essere l'elemento scatenante la depressione, la tristezza è insita nella vita di artista fallito che sta conducendo. Per metonimia, Alverson mette in scena un malessere generale, l'anomia di una società aliena(ta)nte. Del resto, la deformazione della realtà diventa verosimile da un certo punto in poi anche con l'esplicito utilizzo di frame dove lo schermo appare totalmente rosso, giallo, verde o nero, in una soggettiva implicita del personaggio, come a mostrare visivamente il cambiamento percettivo del mondo, un monocromatismo sintomo della patologia del personaggio.
E infatti alla fine il comico ha un crollo nervoso a una festa, che poteva essere importante per lui, e nell'ultima sequenza lo vediamo davanti a un televisore che guarda una sitcom messicana e dove si vede come personaggio. Il montaggio della sequenza passa dal primo piano laterale del comico che ride; uno stacco su un totale all'interno di quella che sembra una cella e poi a seguire lo vediamo entrare sul set della sitcom; un altro stacco e torniamo al primo piano laterale dell'uomo che guarda la televisione. A conferma del totale disgregamento della percezione, con una confusione sensoriale tra realtà e finzione, che diventa cifra stilistica per i due terzi del film.
Per concludere, dobbiamo segnalare la bravura di Gregg Turkington interprete del comico senza nome: più che mai dimostra come il personaggio sia molto spesso il film, come in questo caso. Se il confine tra riso e lacrima può essere a volte labile, perché la vita è sia dramma che commedia, Turkington riesce a trasmettere questo tipo di emozione con gli occhi, la voce, il corpo e in particolare nell'ultima sequenza appena citata il suo riso davanti al televisore si confonde con i singhiozzi del pianto, in una recitazione di alto livello.
cast:
Gregg Turkington, John C. Reilly
regia:
Rick Alverson
titolo originale:
Entertainment
durata:
104'
produzione:
Jagjaguwar, Made Bed Productions, Nomadic Independence Pictures, Complex Corporation, Epic Pictures
sceneggiatura:
Rick Alverson, Gregg Turkington, Tim Heidecker
fotografia:
Lorenzo Hagerman
scenografie:
Bart Mangrum
montaggio:
Michael Taylor
musiche:
Robert Donne
Un comico non più giovane gira locali di terz’ordine nel sud della California, tra strani incontri e la ricerca di un contatto con una figlia assente.