"Un enfant de toi" di Jaques Doillon, presentato quest'oggi nella selezione internazionale del festival di Roma, offre motivi di interesse che vanno oltre il film stesso e che, al contempo, lo riguardano. Accade infatti che affrontando alla sua maniera il tema dell'amore e, quindi, sviluppandolo con uno stile classico ma efficace, e con un flusso ininterrotto di dialoghi che si imprime nella storia senza soffocarla, Doillon riesca a fare quello che a Paolo Franchi non è riuscito. E cioè dare profondità alla materia amorosa senza scadere nell'ovvietà. A questo proposito non deve ingannare il tono da commedia e l'andamento tutto sommato giocoso, favorito dalla presenza di una bambina divertentissima che, involontariamente ma non troppo, funziona da contrappunto scherzoso con la sua mimica e le sue scherzose scenette, alle presunta serietà del mondo degli adulti. "Un enfat de toi" è infatti un'opera che si immerge nella vita senza mezze misure, scandagliandola in lungo e in largo per farne uscire le contraddizioni dei sentimenti che la muovono. Per farlo Doillon chiude i suoi personaggi all'interno di un'ossessione amorosa che ricorda "Jules e Jim", nel legame che lega a doppio filo Aya (Lou Doillon, figlia del regista), madre di Lina, a Victor, il suo nuovo compagno, e Louis, l'ex-marito che ha deciso di rivedere dopo che Victor gli ha espresso il desiderio di diventare padre. Una richiesta che scombina il fragile equilibrio della donna, mettendo in moto una giostra sentimentale che la vedrà contesa dai due uomini, in un continuo prendersi e lasciarsi.
Come un testo teatrale "Un enfant de toi" è diviso in tre atti. Una scelta che permette di focalizzare l'attenzione sull'importanza dei dialoghi che insieme alle performance attoriali costituiscono la parte più vistosa del lavoro di Doillon. È infatti la combinazione di queste due componenti, quello della parola scritta, costruita sulla cura del vocabolario e la precisione della partitura, e della sua traduzione all'interno delle immagini, attraverso l'interpretazione che ne danno gli attori (spontaneamente utilitaristica), a rendere fruibile una storia altrimenti destinata a far sentire il peso di un testo che torna continuamente su se stessa, con variazioni di segno anche all'interno della stessa sequenza, rendendo bene l'instabilità di Aya, divisa tra due uomini dalle diverse peculiarità caratteriali.
Ma "Un enfant de toi" non si ferma qui, perché Doillon lavora sullo spazio e sui corpi, rappresentandoli all'interno di una serie di quadri in cui la mancanza di avvenimenti è compensata da un dinamismo interno che il film ottiene attraverso tre diversi tipi di movimento: quello degli attori sempre pronti a cambiare posizione all'interno della scena, della macchina da presa, mediante un uso sistematico del piano sequenza, con i dialoghi, in continua osmosi emotiva e di significati. Doillon assicura la tensione mantenendo sempre al limite il rapporto tra i personaggi che si incrociano, si sfiorano e si inseguono rimanendo però separati dalla ricomposizione emotiva e fisica che disperatamente inseguono. Fino alla sequenza finale in cui la dimensione familiare finalmente raggiunta è suggellata dalla presenza del mare che ritorna come un feticcio di tanto cinema francese. Basterebbe ricordare quella dello stesso tenore con cui finiva "La guerra è dichiarata" e, poi, per guardare alla noveulle vague a quella de "I 400 colpi" (1959). Un gioco di rimandi al quale il vecchio Doillon si colloca con la proprià identità e senza paura di sfigurare.
cast:
Lou Doillon, Samuel Benchetrit, Malik Zidi, Olga Milshtein, Marilyne Fontaine
regia:
Jacques Doillon
durata:
143'
produzione:
4 à 4 Productions
fotografia:
Renato Berta, Laurent Chalet
montaggio:
Frédéric Fichefet