A cinquant'anni suonati, probabilmente François Ozon forse non è più l'
enfant terrible del cinema d'oltralpe, ma "Doppio amore" (in originale "L'amant double", l'amante doppio), presentato in concorso a Cannes 2017, dimostra che l'autore di "Sitcom" e "
Dans la maison" non ha perso col tempo la voglia di stuzzicare il proprio pubblico.
Liberamente tratto dal romanzo "Lives of the Twins" della grande scrittrice americana Joyce Carol Oates (pubblicato con lo pseudonimo di Rosamond Smith), già adattato per il piccolo schermo negli anni Novanta ma finora inedito in Italia, "Doppio amore" rappresenta in effetti uno dei pochi incontri fra l'autrice di "Blonde" e un regista affermato, visto che finora solo la scena indie (e spesso per la realizzazione di cortometraggi) si era interessata alle sue storie. In effetti l'uscita nello stesso anno di due opere tratte dai suoi libri (l'altra è "Vengeance" con Nicolas Cage) può essere vista come il segno di un maggiore interesse da parte della settima arte che si spera continui. Per Ozon è stata un'opportunità per misurarsi con il thriller erotico, sottogenere che non ha mai mandato in solluchero la critica ufficiale ma che gli spettatori trovano allettante, come dimostrano i vari successi al botteghino. Ovviamente il rischio di certi film è quello di sfiorare (e non solo) il ridicolo proponendo situazioni risapute e ben poco intriganti, dove la sensualità è piuttosto latitante. Fortunatamente Ozon sa maneggiare questo materiale e "Doppio amore" è un
potboiler che, nel segno di
Cronenberg e Polanski, fa sfigurare titoli molto noti anche dalle nostre parti.
Al centro della (programmaticamente) intrigata vicenda il regista ha voluto due attori già suoi complici in passato, l'ex-"
Giovane e bella" Marine Vacth e l'ex-"amante criminale" Jérémie Renier (in doppio ruolo), e la scelta è stata felice, visto che i due non solo risultano bene amalgamati ma si adeguano al registro richiesto con molta naturalezza. Lei è Chloe, un passato da modella e un presente caratterizzato da strani disturbi allo stomaco, lui è Paul, uno psicanalista del quale lei diventa presto paziente. La terapia però non va avanti per molto, visto che lui le confessa di provare una forte attrazione per lei. Le relazioni psicologo-paziente sono un piccolo
must in certi film, poiché vanno a toccare questo tabù della società contemporanea. In verità i due sembrano intendersela alla grande: in una scena Chloe, che naturalmente deve rispettare il ruolo della bella, seduttiva ma fondamentalmente frigida, indossa addirittura uno
strap-on e penetra il suo amante (cosa che nelle varie "sfumature" non si sono mai sognati neanche di immaginare). Ma c'è un problema (come volevasi dimostrare...): Paul è molto discreto per quanto riguarda il proprio passato e un bel giorno Chloe lo vede intrattenersi con una signora. Si tratta però di Louis, il gemello di cui il protagonista si rifiuta di parlare. Paul e Louis fanno lo stesso mestiere e si somigliano come due gocce d'acqua, ma mentre Paul è pacato e gentile, Louis ha un animo violento e aggressivo, come scoprirà presto la stessa Chloe, la quale, immancabilmente intrigata dalla contrapposizione gemello buono/gemello cattivo, comincerà ad andare in terapia dal cognato, che, per la gioia di Paul, la curerà con sedute a suon di sesso spinto.
Inoltre Chloe indagherà anche sul passato violento dei due fratelli, scoprendo cose ben poco piacevoli. Se in "
Giovane e bella" Marine/Isabelle aveva un incontro risolutivo con un mito del cinema come Charlotte Rampling, stavolta Chloe si imbatte nella sempre splendida Jacqueline Bisset, che con la sua ben nota classe regala al film la sua eleganza connaturata (questo, malgrado il regista abbia voluto la star di "Ricche e famose" in versione dimessa). Jacqueline darà alla protagonista qualche dritta sul passato violento dei suoi due amanti, ma le sorprese in realtà non sono finite e quello a cui lo spettatore ha assistito non è realmente ciò che sembra.
Senza entrare troppo nel dettaglio (d'altronde chi conosce questo autore sa che gli epiloghi a sorpresa non sono una novità per il suo cinema) si può dire che il finale è la parte dell'opera più azzardata ma al tempo stesso quella più interessante, quella dalla quale si capisce che il gioco di Ozon non consiste esclusivamente in un esercizio di stile, anche se portato avanti con impeccabile eleganza, o nel divertirsi con situazioni tipo senza peraltro perdere di credibilità. Lui vuole raccontare storie ma, evidentemente, non vuole raccontarle in maniera scontata, e concludere con un colpo di scena così spiazzante suona assolutamente come una dichiarazione d'intenti.
19/04/2018