L'eclettismo di Steven Soderbergh questa volta lo porta a raccontare la vera storia di Liberace, ricco, eccentrico e celebre pianista/showman degli anni settanta, e la sua storia d'amore con il giovane Scott Thorson, autore del libro di memorie su cui si basa il film. Il regista americano continua la sua personale esplorazione del corpo e della mente, questa volta in un contesto omosessuale, chirurgico, sentimentale, in un involucro pacchiano e kitsch di musiche, colori e luccichii, luci, palcoscenici e candelabri dietro i quali si nascondono la solitudine, la frustrazione, l'amore inappagato, l'inutilità del denaro. E quel palcoscenico di Las Vegas così carico di colori, di costumi artificiosi e appariscenti che somiglia alla villa di Liberace svela inevitabilmente il vuoto di esistenze inconsolabili.
Signori Soderbergh, noi pensiamo che vostro figlio sia molto in gamba, ma riteniamo che se si concentrasse su un progetto unico invece che rincorrerne così tanti uno dopo l'altro, potrebbe ottenere dei risultati più soddisfacenti per tutti. Invece che rimbalzare da un contesto all'altro, da una storia a un'altra, quasi con una certa fretta, con un atteggiamento non di sufficienza, ma quasi. Certo "Behind the Candelabra" è un progetto coraggioso, cercato e voluto, e realizzato soltanto come film per la tv grazie a HBO, visto che a Hollywood il soggetto sembrava troppo esplicito.
Un biopic che parte come commedia, senza però trovare i tempi comici giusti, e si trasforma per gradi in melodramma, senza davvero approfondire e commuovere. Che poteva diventare viscerale e sofferto, ma resta superficiale e patinato, ibrido sospeso e informe nelle mani di un regista che evidentemente si trova più a proprio agio quando può muovere la macchina da presa, azzardare, rischiare e giocare. I due protagonisti si prestano coraggiosi e volenterosi, dietro trucchi, ritocchi e parrucche, un gradino sotto il diventare macchiette, troppi esperti per esagerare. In particolare Michael Douglas, in ottima forma, che costruisce la fragilità del suo personaggio controllando espressioni e tono di voce, incarnandone l'incapacità di costruire rapporti veri. Nel cast anche Dan Aykroyd, irriconoscibile finché non mostra la sua smorfia tipica.
In un film perfettamente inserito in una tradizione di percorsi di formazione, plagio e distruzione, si può giocare a trovare un bel po' di richiami cinematografici a 360 gradi: da quell'ossessione per la chirurgia dettata dalla voglia di plasmare l'altro che fa pensare ad esempio all'Almodovar di "La pelle che abito"; a quella sequenza mistica in bianco e nero che formalmente ricorda "L'uomo che non c'era"; dal contesto bizzarro e ironico di "Piume di struzzo" di Mike Nichols (pare che inizialmente Robin Williams fosse in corsa per interpretare Libeace), al racconto nel contesto omosessuale di interdipendenza e di plagio de "Il diritto del più forte", senza però le conseguenze e la connotazione politica che ne dava Fassbinder nel suo capolavoro. Il mondo omosessuale, in Sodergergh, rischia di concentrarsi maggiormente sull’ostentazione di abiti, smorfie e accessori, e solo dopo sulla carnalità e il sentimento.
Non sono dunque i corpi in vendita, martoriati dai virus o atletici dei suoi ultimi film. Non sono nemmeno le menti pericolose del recente "Effetti collaterali". Eppure sono entrambe le cose: esseri fragili, dipendenti dal sesso, dalla droga e dagli altri, nascosti dietro gioielli, pellicce e omertà. Volti sfregiati dal bisturi, coperti di abiti appariscenti e pacchiani, disinvolti nell'intimità, tormentati dall'amore e inappagati dalla vita.
Cosa manca dunque questa volta? Come detto, la commedia non brilla particolarmente, il dramma non colpisce fino in fondo e la storia d'amore non seduce. Tra vari cali di ritmo, tutto è solo sfiorato, appena scalfito. Lì dove i personaggi dovevano emergere, rimangono appiattiti e inghiottiti dentro quelle scenografie colorate, luccicanti e barocche; nel momento in cui Soderbergh potrebbe affondare il bisturi ritrae invece la mano e non riserva nessuna sorpresa.
Signori Soderbergh, secondo noi vostro figlio padroneggia decisamente meglio quelle storie corali e chiassose, perché sa farlo senza andare mai sopra le righe risultando sempre divertente; certo, il suo recenti "Effetti collaterali" era ben calibrato, ma allo stesso tempo sembra mancare lo smalto dei tempi migliori. Il risultato, ci spiace dirlo, è piuttosto tiepido.
Trascurabile nota a margine: il barboncino Baby Boy ha vinto il Palm Dog Award a Cannes, premio assegnato al miglior cane dei film in competizione.
cast:
Matt Damon, Michael Douglas, Debbie Reynolds, Dan Aykroyd, Rob Lowe
regia:
Steven Soderbergh
titolo originale:
Behind the Candelabra
durata:
118'
produzione:
HBO Films
sceneggiatura:
Richard LaGravenese
fotografia:
Steven Soderbergh (as Peter Andrews)
scenografie:
Patrick M. Sullivan Jr.
montaggio:
Steven Soderbergh (as Mary Ann Bernard)
costumi:
Ellen Mirojnick
musiche:
Marvin Hamlisch