Con il dovuto grado di approssimazione dovuto a eccezioni che riguardano la prima parte della sua filmografia possiamo affermare che il cinema di Peter Berg rincorre da sempre un livello di verosimiglianza che va di pari passo con i soggetti delle sue storie, tutte o quasi destinate a fare da cassa di risonanza agli avvenimenti della cronaca americana. Un obiettivo che il regista ha iniziato a perseguire nel 2007 a partire dall'incontro con Michael Mann, produttore di quel "The Kingdom" dedicato ai temi della guerra in Iraq e del terrorismo internazionale durante il quale sotto la supervisione dell'illustre committente Berg si libera dagli orpelli tipici delle produzioni indie per abbracciare quelli di un cinema d'autore avvezzo alle grandi narrazioni di genere. E da quel momento in poi affinato attraverso livelli di assestamento successivi che non disdegnano un progetto come "Hancock" (doppiato qualche anno dopo dall'alimentare "Battleship"), apparentemente lontano dalla poetica del regista e però interessante nel tentativo di destabilizzare i codici dell'hero movie con una messinscena (volutamente) sporca e improvvisata come posso esserlo certi reportage della prima ora; e che prevedono la trasposizione di un reale rimasticato e corretto quanto basta per sfornare un hit come "Lone Survivor", patriottico resoconto di una missione di guerra finita in tragedia dove la ricostruzione di un episodio del conflitto afghano diventa l'occasione per una chiamata alle armi che alla pari di "American Sniper" permette al regista di sciorinare le qualità morali, il valore combattentistico e lo spirito di sacrificio dei soldati americani.
All'interno di questo processo artistico "Deepwater - Inferno sull'oceano" e a prima vista il successivo "Patriots Day" - valutato attraverso le immagini del trailer da qualche giorno in rete - potrebbero rappresentare un punto di arrivo; non necessariamente quello più alto in termini di stupore e intrattenimento ( in questo "Deepwater" e' una spanna al di sotto) ma di sicuro indicativi di una coerenza tra forma e contenuto finalmente raggiunta. Detto che "Patriots Days" è incentrato sull'attentato occorso durante la maratona di Boston così come "Deepwater Horizon" è la trasposizione dell'esplosione della piattaforma petrolifera che nell'Aprile del 2010 causò la morte di undici operai e diede vita al più grande disastro ambientale della storia americana (a causa del blow out che per oltre due mesi versò circa cinque milioni di barili di petrolio nelle acque a largo del golfo del Messico), ciò che conta qui è spiegare le ragioni di tali affermazioni e, in secondo luogo, di verificare in che modo gli scopi raggiunti influiscono sul risultato finale del nostro film.
Tratto da una storia vera "Deepwater - Inferno sull'oceano" presentava pressappoco lo stessa situazione di "Lone Survivor" con un gruppo di uomini lontani dalla propria famiglia chiamati a sopravvivere in un territorio diventato improvvisamente ostile. A essere uguali erano pure il senso di comunità e lo spirito di fratellanza che scandisce l'operato del capo elettricista Mike Williams (Mark Wahlberg protagonista anche del successivo "Patriots Day) e del suo capo Jimmy Harrell (Kurt Russell) impegnati loro malgrado in un operazione di salvataggio che mira a riportare a casa i propri uomini. Non mancano neppure gli agganci all'ambiente militare che "Deepwater" rilancia nella gerarchizzazione delle mansioni lavorative all'interno della compagnia preposta all'estrazione del petrolio come pure nella presenza dell'uniforme indossata dalle maestranze che ne fanno parte. Senonché l'individuazione di un nemico non dichiarato ma per certi versi ancora più insidioso dei guerriglieri talebani per il fatto di annidarsi tra le file di chi (il rappresentante dei vertici societari interpretato dal sempre mefistofelico John Malkovich) si dovrebbe occupare della sicurezza dei propri dipendenti aggiunge un surplus al modello ricalcato sulla falsa riga di "Lone Survivor". Alle caratteristiche action thriller tipiche del disaster movie "Deepwater" aggiunge una valenza politica derivatagli dal prendere le parti di uomini dimenticati dal sistema; cosa che in un film assetato di verità funziona come moltiplicatore di coerenza e di attendibilità.
A differenza di altre occasioni Berg riesce a limitare la retorica insita nel confronto tra buoni e cattivi (per esempio assente nello scontro tra il personaggio di Malkovich e quello di Russell) azzerando quella di matrice ambientalista che poteva entrare in gioco con i danni subiti dall'ecosistema circostante al luogo dell'accaduto; allo stesso tempo annulla o quasi le esagerazioni in chiave spettacolare che in diversi casi avevano rovinato la credibilità delle sue ricostruzioni grazie alla convergenza tra la necessità di corrispondere alle conoscenze di un pubblico (almeno quello americano) ampiamente informato sullo svolgimento dei fatti con le qualità di un dispositivo cinematografico che allo stile documentaristico delle riprese e (cosa non da poco per un film del genere) all'invisibilità degli effetti speciali può contare su un impiego funzionale degli attori che alla pari delle persone reali Berg utilizza in veste di Men at Work, prestati fisicamente ai rispettivi ruoli e pronti a confondersi con il resto della ciurma. Una maturità registica che però deve fare i conti con una certa leziosità dell'impianto narrativo; evidente nelle sezioni che aprono e chiudono il film quando inizialmente Berg non riesce a fare a meno di presentarci le dolcezze del retroterra famigliare di Mike Williams, con annesse moglie e figlioletta che secondo prassi torneranno utili nel mezzo della catastrofe per aumentare il pathos e la trepidazione dello spettatore per le sorti del coraggioso protagonista, o di certi espedienti rivelatori di ciò che accadrà come l'inattesa fuoriuscita di liquido misto a gas dalla lattina di Coca cola inserita ad arte per annunciare quella di fango e petrolio che darà il via l'ambaradan. E sul finire con il de profundis dedicato alle vittime della sciagura - doveroso ma cinematograficamente accademico - piazzato all'interno dei titoli di coda dove il ricordo delle vittime trova compimento nel commiato musicale che accompagna le fotografie di chi non ce l'ha fatta a tornare vivo. Peccati veniali di un prodotto che per lunghi tratti riesce ad essere esistenza e umanità allo stato puro.
cast:
Kate Hudson, John Malkovich, Kurt Russell, Mark Wahlberg
regia:
Peter Berg
titolo originale:
Deepwater Horizon
distribuzione:
Medusa Film
durata:
107'
produzione:
Di Bonaventura Pictures Lions Gate Entertainment Participant Media
sceneggiatura:
Matthew Michael Carnahan, Matthew Sand
fotografia:
Enrique Chediak
scenografie:
Chris Seagers
montaggio:
Colby Parker Jr
musiche:
Steve Jablonsky