Progetto DAU
Riprodurre un intero periodo storico, quello dell’Unione Sovietica dal 1938 all’inizio degli anni 60, per raccontare una società in cui il totalitarismo non è solo sistemico ma si incista nelle psicologie e nelle menti delle persone, vittime e carnefici al tempo stesso. Questo è il “Progetto DAU” ideato e condotto dal regista russo Ilya Khrzhanovskiy, che da un’idea di partenza per un film si è trasformato in un esperimento sociologico, psicologico, artistico e scientifico: per tre anni (a partire dal 2007) più di quattrocento attori non professionisti hanno vissuto come in una bolla distopica spazio-temporale in un villaggio intorno a un istituto scientifico segreto completamente ricostruito in diciassettemila metri quadrati in Kharkiv (Ucraina).
Il villaggio non è stato un semplice set, ma un luogo dove le persone vestivano, mangiavano, parlavano e pensavano come nell’Unione Sovietica dell’epoca. La macchina da presa di Khrzhanovskiy (coadiuvato da diversi collaboratori e collaboratrici con cui ha diviso anche la regia) si è trasformata in un occhio demiurgico che ha registrato gli eventi in cui ogni ruolo era interpretato da veri scienziati, militari, musicisti, artisti e personale amministrativo.
Jürgen Jürges – direttore della fotografia tedesco di lunga e vasta esperienza e collaboratore di registi del calibro di Michael Haneke, Wim Wenders e Rainer Werner Fassbinder - ha ripreso più di settecento ore di girato, tenendo occupato Khrzhanovskiy negli anni successivi in un abnorme lavoro di montaggio, il cui risultato (ancora work in progress) sono stati 15 lungometraggi e 6 serie televisive (che vedono la luce in questi ultimi anni), e di una grande installazione presentata a Parigi nel gennaio 2019 al Théâtre de la Ville, al Théâtre du Châtelet e al Centre Pompidou.
Sopravvivere al male
È in questo contesto che bisogna vedere “DAU.Natasha” una delle pellicole del progetto, fruibile come film autonomo, ma comunque un pezzo di un puzzle di più ampio respiro.
La storia di una cameriera, una donna non più giovane, della mensa dell’istituto, alle prese con continui battibecchi verbali e scontri fisici con la collega più giovane, diventa la rappresentazione delle dinamiche di forza e sopraffazione morale degli individui e del sistema stesso, dove si vive in un ambiente tossico in cui all’abiezione dei rapporti umani ci si abitua in una continua immersione nella quotidianità.
“DAU.Natasha” è diviso per grandi quadri del tutto girati in interni e con pochissime scene in esterno. Dalla mensa ai bagni, dall’appartamento della collega di Natasha, Olga, ai laboratori dell’istituto, dall’ufficio dell’interrogatorio del Kgb all’adiacente cella delle torture, tutto il film risulta claustrofobico, immerso in una luce livida, in un buio eterno che non è solo quello dell’inverno sovietico ma, banalmente, è un’oscurità che avvolge le anime dei protagonisti - grazie alla bravura di Jürges che ha vinto l’Orso d’argento per il suo contributo tecnico al Festival di Berlino nel 2020, dove il film è stato presentato in anteprima.
Natasha s’innamora di uno scienziato francese ospite dell’istituto con cui passa una notte di sesso e per questo motivo viene sottoposta a un umiliante e degradante interrogatorio da un ufficiale del Kgb che la costringe a denunciare lo scienziato e la recluta come informatrice (in una delle sequenze più forti dell’intero film). La ricerca dell’amore, della compagnia dei propri simili appare come un succedaneo alla profonda solitudine dei personaggi. Il sesso, l’alcol, la baldoria forzata, ben rappresentata nella lunga sequenza nella casa di Olga, fanno poi da contraltare a quella dell’interrogatorio di Natasha nella cella del servizio segreto. Lo stacco improvviso tra una situazione apparentemente normale in un abisso di ferocia e crudeltà rende la fragilità dell’essere umano di fronte alla presenza del Male che rimane sempre presente sottotraccia e pronto a riemergere.
La violenza formale e contenutistica è espressa da Khrzhanovskiy con una macchina da presa in continuo movimento, presenza (in)visibile che scatena il voyeurismo dello spettatore. Non c’è un montaggio di campi-controcampi, non ci sono inquadrature fisse, ma un continuo spostamento dell’occhio della cinepresa pedinante gli eventi, addosso ai personaggi, in un risultato immersivo per lo spettatore che allinea lo sguardo con quello del regista, con la sensazione di essere presente sul set.
Un cinema indefinibile produttore di mondi
“Dau.Natasha” però non è cinema del reale, è molto di più. Un’idea di cinema innovativo, che va oltre la mera rappresentazione del fatto in sé ma che ricostruisce la realtà stessa.
Khrzhanovskiy va al di là di una semplice creazione di un’opera-mondo, non si ferma a denunciare il Male insito nella società umana. Erige un laboratorio delle umane depravazioni e debolezze in cui la finzione modella il reale e il reale ricostruisce la finzione. Bigger than life si potrebbe definire. Ma si rimarrebbe ancora all’interno di una definizione spuntata di un cinema indefinibile, in un continuo suo farsi nel tempo umano come un esperimento che ha bisogno di continue prove e controprove nell’impossibilità di delinearne la propria finitezza di sguardi ed emozioni. Piuttosto un Big Bang cinematografico che preannuncia un nuovo universo di immagini, di pulsioni visive e materiche, dove lo schermo cinematografico diventa un oblò che si affaccia su una nuova creazione storica espansa, trasformando gli spettatori in viaggiatori alla scoperta di un nuovo spazio da esplorare.
Un cinema che è arte e scienza allo stesso tempo, un cinema di cui non si potrà fare a meno di parlare nei prossimi anni e con cui dover fare i conti, che ripropone nuovamente la domanda di cosa esso sia. In attesa di trovare nuove risposte. Oppure prendere atto delle molteplici possibilità di narrazione degli eventi in cui passato, presente e futuro implodono e registrare l’immutabilità dell’esistenza umana.
cast:
Natalia Berezhnaya, Olga Shkabarnya, Vladimir Azhippo, Alexei Blinov, Anatoliy Sidko, Luc Bigé
regia:
Ilya Khrzhanovskiy e Jekaterina Oertel
distribuzione:
Teodora Film
durata:
138'
produzione:
Phenomen Berlin Filmproduktions
sceneggiatura:
Ilya Khrzhanovskiy
fotografia:
Jürgen Jürges
scenografie:
Denis Shibanov
montaggio:
Brand Thumim
costumi:
Elena Bekritskaya, Olga Bekritskaya, Lyubov Mingazitinova, Irina Tsvetkova