Sesso e sangue, amore e morte. Tim Burton e Johnny Depp ripescano dagli anni 60 la soap opera di culto "Dark Shadows" e le ridanno appeal con un'iniezione di ironia e sensualità estranea all'originale. E, vien da sé, con l'estro visivo del regista di "Edward mani di forbice".
Diventato vampiro a causa di una maledizione, Barnabas Collins (Johnny Depp) viene imprigionato in una bara. Al suo risveglio, duecento anni dopo, dovrà fare i conti con un mondo cambiato e una famiglia allo sfacelo, piegata dalle macchinazioni di Angelique (Eva Greene), la stessa crudele strega che, invidiosa della tragica storia d'amore di Barnabas con la bella Josette, l'ha trasformato in vampiro e ha maledetto tutto il lignaggio dei Collins. Ma l'amore per Victoria (Bella Heathcote), reincarnazione della perduta compagna, motiva il vampiro a riprendersi la propria vita e cercare di redimersi dalla sua condizione.
A due anni dal disastro di "
Alice in Wonderland", ecco una nuova "burtizzazione" di materiale già ampiamente digerito dal pubblico, in questo caso soltanto americano. Se in "Alice" rimontava goffamente l'immaginario di Carroll in un golem fantasy da incasso, questa volta Burton sembra essere più a suo agio con un universo narrativo smaccatamente più
camp per origine e intenti: atmosfere e invenzioni visive ci riportano la sua tipica anemia goticista, rimasticata e vista innumeravoli volte, certo, ma qui persino amplificata da un uso riuscito di effetti digitali tinti di posticcio. Nessun cortiletto nuovo da esplorare, se non quello di una sessualità piuttosto gridata, quasi straniante, ma per i soli fini comici del
mood grottesco della pellicola.
Ecco: "Dark Shadows" riesce a connettere grazie all'estetica e alla comicità, cortesia soprattutto di un Johnny Depp "più sangue meno cacao" (Wonka, pirati e cappellai matti costantemente in copia conoscenza), perché non può contare su una sceneggiatura vera e propria, quanto su una successione di situazioni fra personaggi che incidentalmente fanno procedere un plot tratteggiato. Non c'è abbastanza spazio per fare respirare i personaggi, nessuna possibilità
di investirli
di ricompense o tensioni: la miniera d'oro
di un Depp finalmente
vampiro chiama la ribalta e oscura ogni prospettiva
di storytelling responsabile. La conseguenza sono due ore
di apatia divertita, con la ciliegina sulla torta
di un finale
che dà ulteriore conferma
che la recente ondata
di horror revisionista (è persino ozioso citare "
Twilight" e parenti, ma lo facciamo lo stesso) ha completamente perso
il senso delle figure portate sullo schermo. Ancora più inquietante, però, che un grande narratore come Burton si stia appiattendo così platealmente.
13/05/2012