Pur nella loro ancor limitata carriera, i fratelli Hughes hanno il raro merito di essere stati gli unici in grado di rielaborare degnamente un'opera di Alan Moore ("From Hell"). Registi personali in un contesto molto blockbusterizzato, hanno di nuovo imboccato la loro strada, senza guardare in faccia nessuno.
"Codice Genesi" (i traduttori italiani stanno perdendo colpi, l'originale "The Book of Eli" era molto più suggestivo. Anche gli spagnoli, che notoriamente stravolgono tutto con le traduzioni, stavolta hanno fatto di meglio: "El libro de Eli") è un film post-apocalittico palesemente ispirato alla storia di Kenshiro - la scelta di Gary Whitta, writer di fumetti e videogame, ora alle prese con la scrittura del plot del film live di "Akira" non è un caso -, sul quale i due fratelli registi hanno voluto elevare un "pensiero" sinceramente sociologico. Il film degli Hughes è anche un paradosso fotografico - il sole acceca i personaggi ma le immagini sono desaturate fin quasi al bianco e nero - nel quale il protagonista (Washington), rispetto al "maestro di Hokuto" prova dei sentimenti più palesati e non è portatore sano di una tecnica mortale di combattimento a mani nude. A contrario tiene nello zainetto l'unica copia rimasta al mondo della Bibbia.
Evitando di focalizzarsi sulla piuttosto esile trama, val bene considerare che il merito di questo film è tutto racchiuso nella messinscena e in un seppur fievole messaggio fondamentale: dove regna il caos la religione è al contempo salvezza e strumento di potere sulle masse. Fotografata splendidamente, "Codice Genesi" è una pellicola estremamente iperbolica (si confronti il pathos degli innumerevoli ralenty con la vibrante potenza delle sparatorie). Nella scelta di affidare la stampa del libro al metodo Gutenberg - richiamato non solo dal font dell'unico titolo iniziale - vi è anche la visione di un futuro che è ritorno al passato (un medioevo prossimo venturo) e una riflessione metacinematografica circolare. I rimandi a Leone, evocati dal fischiettare del braccio destro di Carnegie (nome non dissimile, per assonanza, da Carnage che significa carneficina), ne sono l'emblema. Sergio Leone a sua volta aveva rielaborato un plot giapponese. I giapponesi sono i genitori della fanta-apocalisse manga ("Akira" ma anche naturalmente "Hokuto No Ken"). Buronson, sceneggiatore di "Ken Il Guerriero" si era ispirato al protagonista di "Mad Max" - film che è il principale mezzo di confronto per questo "The Book of Eli".
Elucubrazioni? Forse sì.
Indubbiamente però resta il fatto che, all'indomani degli anni zero, la tristezza e i dubbi sul futuro che ci hanno invasi (senza nemmeno bussare alla porta) hanno riportato in auge il genere di sci-fi post-apocalittica. Nel mare delle produzioni americanizzate che stanno invadendo il mercato come uno tsunami, è proprio un prodotto statunitense ad avere il merito di elevarsi a un piano più alto, personale e che, in fondo, ha un suo perché. E a leggere tra le righe dei topoi e del ritmo alacre del genere filmico, probabilmente vi si può trovare una sintetica quanto centrata riflessione.
cast:
Denzel Washington, Gary Oldman, Mila Kunis, Michael Gambon, Malcolm McDowell, Tom Waits
regia:
Albert Hughes, Allen Hughes
titolo originale:
The Book of Eli
distribuzione:
01 Distribution
durata:
117'
produzione:
Alcon Entertainment, Silver Pictures
sceneggiatura:
Gary Whitta
fotografia:
Don Burgess
scenografie:
Gae S. Buckley
montaggio:
Cindy Mollo