Le aspre e violente contestazioni che hanno interessato il Cile nel 2019 non potevano non risvegliare la macchina da presa di Patricio Guzmán, cantore degli splendori e delle miserie del paese sudamericano fin dai primi anni Settanta, gli anni dell’ascesa alla presidenza della repubblica di Salvador Allende e della sua tragica deposizione durante il colpo di stato di Pinochet del 1973.
Da lì parte "Mi país imaginario", in uno di quei momenti autoreferenziali che caratterizzano il Guzmán degli ultimi anni, accomunandolo in ciò a un altro grande vecchio del cinema documentario, Werner Herzog.
Con il bavarese Guzmán condivide in realtà quell’aspetto e poche altre cose: in particolare l’idea di un cinema materico, fortemente ancorato agli elementi. E così, dopo il breve prologo, "Mi país imaginario" prende le mosse dai frammenti di roccia rimasti sulle strade a seguito delle violente manifestazioni di piazza del 2019 contro il caro vita e le ineguaglianze sociali, roccia che il regista si affretta a identificare quale parte della Cordigliera delle Ande, già protagonista del suo ultimo lungometraggio.
Quelle pietre sono state le armi della ribellione giovanile contro il governo di destra di Piñera e la sua longa manu armata, i carabineros che nel golpe del ‘73 si erano schierati con le altre forze armate e che nel 2019 rappresentano lo strumento di repressione della protesta.
Quella che per molti cileni è la linea rossa per eccellenza, i militari nelle strade di Santiago, viene oltrepassata a causa della recrudescenza delle proteste dei manifestanti. Ma la reazione della popolazione è ferma: un milione e duecentomila persone si riversano per le strade della capitale. E qui le carrellate da drone iniziano a esplicitare tutta la propria forza visiva, dopo una prevalenza di riprese con camera a mano, ad altezza d’uomo, durante le proteste.
Guzmán sceglie le donne per gli inevitabili segmenti talkin’ heads: a loro è affidato il compito di raccontare la società cilena contemporanea e le sue contraddizioni, che sono poi le ragioni della protesta. Ma "Mi país imaginario" è un’opera strutturalmente al femminile non soltanto per i frammenti di intervista che si alternano alle scene di massa girate nelle piazze. Anche queste ultime, infatti, sono in buona parte dedicate alle donne, e in particolare alle manifestazioni solidaristiche sul sempre attuale tema dello stupro e della colpevolizzazione della vittima.
Per il resto, si sente la mancanza di un po’ di contestualizzazione del periodo ante Boric, il giovane presidente di centro-sinistra, eletto nel 2021 a soli trentacinque anni, che a molti ha fatto parlare di un nuovo Allende. Un piccolo neo, peraltro ricorrente in Guzmán, che non rinuncia al suo essere ostentatamente parziale, finendo talvolta per dimenticare di affacciarsi sulla controparte per cercare, se non di capire, quantomeno di elencare ragioni e paure di quella maggioranza silenziosa che a partire dal 2010 ha finito per dare regolarmente spazio a un’alternanza che, finché si resta nell’alveo delle regole del gioco, è del resto una delle prerogative del sistema democratico, piaccia o meno.
Il finale è dedicato interamente a Boric e al suo discorso di insediamento, che chiude il film prima dei titoli di coda. È il segmento emotivamente più forte della pellicola, quello in cui Guzmán gioca le sue carte migliori, riaccendendo quel barlume di speranza che nelle sue opere fa sempre capolino, prima o poi.
Peccato che la scelta della distribuzione italiana di portare il film nelle sale italiane nel cinquantesimo anniversario del colpo di stato e della morte di Allende (11 settembre 1973) abbia depotenziato la carica di un’opera che quando fu presentata a Cannes nel maggio 2022 era ancora estremamente attuale.
Oggi, sedici mesi dopo, in seguito alla bocciatura della riforma costituzionale (settembre 2022) di cui tanto si parla nel film e dopo la recente (maggio 2023) rielezione della costituente con una maggioranza di centrodestra, l’opera arriva nelle sale già vecchia e in parte superata. Uno sguardo retrospettivo su ciò che avrebbe potuto essere e che probabilmente non sarà, mentre si annidano ancora una volta nubi minacciose all’orizzonte (recentemente il 36% dei cileni ha giustificato come necessario il golpe del ‘73, percentuale in enorme ascesa rispetto ai sondaggi degli anni passati).
Eppure, proprio per questo arrivare fuori tempo massimo, dando adito all’ennesima lettura nostalgica dei fatti, la scelta dei distributori finisce per essere profondamente Guzmániana.
regia:
Patricio Guzmán
titolo originale:
Mi país imaginario
distribuzione:
ZaLab, I Wonder Pictures
durata:
83'
produzione:
Atacama Productions, Arte France Cinéma, Market Chile
sceneggiatura:
Patricio Guzmán
fotografia:
Samuel Lahu
montaggio:
Laurence Manheimer