Per recensire "Cats" bisogna partire da lontano, dal musical presentato a Londra nel 1981 e replicato a Broadway quasi 8000 volte. Anzi, magari prima, dalla silloge poetica che lo ha ispirato, "Il libro dei gatti tuttofare" (Old Possum’s Book of Practical Cats) di Thomas S. Eliot, che tra un mercoledì delle ceneri e un assassinio in cattedrale componeva bislacchi poemetti sulla psicologia felina dedicati ai suoi figliocci.
All’inizio degli anni 80, nello spirito dello sperimentalismo temerario e pacchiano che colorava quegli anni, Lloyd Webber cucì i poemetti in una trama: la randagia Victoria è invitata al ballo dei gatti Jellicle, che ogni anno premiano il vincitore con un biglietto di sola andata per la reincarnazione. L’astuto Macavity, "the mystery cat", prova a eliminare tutti i concorrenti con bieche strategie. Lo stesso Lloyd Webber ha innescato la gestazione tormentata di questo adattamento, dopo che la Universal Pictures ne aveva acquistato i diritti a inizio anni 90. Strappate le firme di Tom Hooper in regia, autore del fortunato (ma farraginoso) "Les Misérables", e di alcuni nomi pesanti (Ian McKellen, Judi Dench, Idris Elba), non rimaneva che curare colonna sonora, coreografia e computer-grafica.
Andiamo con ordine. Tranne che per una aggiunta (la trascurabilissima "Beautiful Ghosts" di Taylor Swift), il soundtrack rimane quello del "Cats" originale, filtrato attraverso una (in)sensibilità teen pop che impasta melodie e timbri in una indistinta farina sonora – salvo "Memory", ma per quella basta youtube. Le coreografie, di per sé dimenticabili, sono svilite dalla regia nevrotica di Hooper che colleziona inquadrature come figurine, senza mai concedere continuità e respiro. Ma nell’anno in cui "The Irishman" ha rivoluzionato gli effetti speciali grazie alla miracolosa Industrial Light & Magic, l’aspetto catastrofico di "Cats" è proprio l’utilizzo amatoriale della computer-grafica. Il design dei personaggi è tremendo, il pelo digitale semplicemente cringe, gli sfondi sono posticci come le alghe di plastica negli acquari, gli effetti pietosi, le proporzioni sballate.
A ciò si aggiunge la totale incapacità di Hooper di dare corpo a personaggi tridimensionali, di organizzare dinamiche coinvolgenti. Una sfilata di caricature feline grottesche e puerili, con la segreta speranza che a un certo punto se li porti via il responsabile di un gattile. Più che "Cats" assomiglia a "Cast", ovvero affiancare attori illustri e attempati a giovani astri del ballo nella speranza di rianimare i primi e nobilitare i secondi, alla ricerca di un pubblico che non c’è. Già, perché il musical è troppo infantile per piacere agli adulti e troppo balengo per accattivarsi i bambini, e l’uscita in concomitanza con "Star Wars: L’ascesa di Skywalker" ha solo fornito il pretesto ideale per un fiasco annunciato.
Primo indiziato alla vittoria dei Razzie 2020 con 9 nominations, "Cats" riesce nella difficile impresa di mettere d’accordo pubblico e critica: un disastro. Goffo, innocuo, tardo, sgraziato e convulso; esattamente il contrario di un gatto. Perciò, se al cinema sentite ronfare non sono le fusa – è qualcuno che russa.
cast:
Judi Dench, Francisca Hayward, Ian McKellen, James Corden, Jason Derulo, Idris Elba, Taylor Swift, Jennifer Hudson
regia:
Tom Hooper
distribuzione:
Universal Studios
durata:
110'
produzione:
Universal Pictures
sceneggiatura:
Lee Hall, Tom Hooper
fotografia:
Christopher Ross
scenografie:
Rebecca Pilkington
montaggio:
Melanie Oliver
costumi:
Paco Delgado
musiche:
Andrew Lloyd Webber