“I've seen angels fall from blinding heights/ But you yourself are nothing so divine/ Just next in line.
Arm yourself because no one else here will save you/ The odds will betray you/ And I will replace you. “
Forte del timbro vocale grezzo e aggressivo cui ci ha abituati fin dai tempi dei
Soundgarden, Chris Cornell urla una sottile predica al novello 007: “Per quanto in alto tu possa essere arrivato, l'avere ottenuto una licenza di uccidere a due zeri non fa di te un dio. Eri e rimani uno zero, un nulla facilmente sostituibile. Guardati le spalle.“
“Casino Royale” è il primo romanzo del canone bondiano, romanzo con cui Fleming introduceva nel mondo letterario un personaggio che avrebbe avuto ancora più successo in quello cinematografico.
Il film reinventa la storia originale di Fleming mantenendone la linea principale, portando l'agente 007 dagli ambienti torridi del Madagascar e delle Bahamas, dove si concentrano scene d'azione talvolta al limite del realismo (formidabile la cavalcata parkour fino in cima alla gru e poi a scendere), fino ai paesaggi montuosi del Montenegro, sede di un'intensa partita a poker, fulcro drammatico del film che sfocerà in alcune delle scene più tese e violente non solo del film, ma dell'intera filmografia bondiana (memorabile la scena della crisi cardiaca e la tortura della sedia).
Pare fosse necessario Daniel Craig per portare una ventata di aria fresca a quello che, dopo gli ultimi, imbarazzanti episodi con Brosnan protagonista, stava diventando un
franchise a rischio di estinzione. La scelta di un attore come Craig, pilastro centrale della pellicola, avrebbe sicuramente stonato in un passato anche abbastanza recente, eppure si è rivelata essere una scelta ben oculata: la sceneggiatura degli “storici” Purvis e Wade, con il contributo fondamentale del premio Oscar Paul Haggis, tratteggia un agente 007 molto lontano dal Bond cinematografico, ma a ben vedere molto più vicino a quello letterario.
Il James Bond di “Casino Royale”, impeccabilmente interpretato da Craig, perde la componente fumettistica tipica delle sue precedenti incarnazioni, lascia cadere i
cliché legati indissolubilmente al personaggio (che vengono confinati a fugaci citazioni), per diventare un individuo profondamente umano, oscuro, tormentato.
Craig, da parte sua, possiede una bellezza non priva di classe ma tormentata, che sfiorisce nei momenti di estrema tensione emotiva, dando un ulteriore slancio di realismo a un personaggio già estremamente duro. Un Bond da cui emerge costantemente una componente esistenziale radicata, mai edulcorata dalle (rare) uscite ironiche, un Bond in definitiva mai visto sullo schermo e molto simile per psicologia a un vecchio “eroe” noir.
A sostenere il Bond rivisitato di Craig, un'
entourage monumentale.
Mads Mikkelsen, attore feticcio di Nicolas Winding Refn, è il banchiere criminale Le Chiffre: un volto già di per sé demoniaco che con l'aggiunta di un occhio sfigurato che lacrima sangue e un inalatore alza lo standard del cattivo bondiano a un livello difficilmente raggiungibile (anche se vagamente stereotipato). La Eva Green più bella di sempre è Vesper Lynd, agente del tesoro britannico responsabile del finanziamento di Bond per l'ingresso alla partita a poker. Se per definizione Vesper è in “Casino Royale” la
Bond girl, mai tale appellativo è stato più lontano dalla verità: molto più
femme fatale che semplice “
girl”, il personaggio della Green si trova in bilico tra una fredda professionalità e una forte sensibilità. Si presenta a Bond con un gelido “Io sono il capitale”, diventando paradossalmente l'unica donna a riuscire a sciogliere il cinico ghiaccio superficiale dell'agente 007, fino alla vetta dell'abbraccio sotto la doccia.
Judi Dench è l'ormai storica interprete di M e un corale di attori tutti italiani allarga il cast: Giancarlo Giannini è Mathis, contatto di Bond in Montenegro, mentre la bella Caterina Murino e Claudio Santamaria, seppure in parti minori, interpretano personaggi che rivestono importanti ruoli di transizione tra i vari momenti filmici.
Guidato dalla regia asciutta di Martin Campbell, sostenuto da una solida sceneggiatura (ottime le parti dialogate da Haggis), con un montaggio impeccabile e mai eccessivamente frenetico, una colonna sonora ispirata, ed elegantissimi titoli di testa (complice anche la
title song “You know my name” di Cornell), “Casino Royale” dimostra di essere, per quanto lontano dal canone, un imperfettibile film bondiano; un intelligente
reboot dal quale aleggia la promessa (già in parte disattesa dal sequel "
Quantum of solace") di ridare potenza a un personaggio cinematografico tanto inflazionato come l'agente 007.