"In tal modo
Casablanca non è un film, è tanti film, una antologia. Fatto quasi per caso, probabilmente si è fatto da sé, se non contro almeno al di là della volontà dei suoi autori, e dei suoi attori. E per questo funziona, a dispetto delle teorie estetiche e delle teorie filmografiche. Perché in esso si dispiegano per forza quasi tellurica le Potenze della Narratività allo stato brado, senza che l'Arte intervenga a disciplinarle"
[1]. Così si esprime Umberto Eco riguardo al film del 1942 diventato, nel corso del tempo, una delle maggiori pietre miliari della Hollywood classica: una pellicola conosciuta da tutti (persino da chi non l'ha mai vista), capace di ispirare registi (si pensi anche solo alla parodia
alleniana di "Provaci ancora Sam"), di andare oltre se stessa e di elevarsi allo status di Simbolo, tanto che nessuno, nemmeno i detrattori, potrà mai essere capace di negarne la grandezza, per lo meno sul piano mediatico: l'immagine di Rick seduto al tavolo del bar, attorniato dalla malinconia e dal fumo della sigaretta è divenuta
mitica quasi quanto lo stesso Bogart: il suo significato cioè va ben al di là di ciò che quel fotogramma poteva significare su un piano strettamente diegetico, e nel tempo si è fatto portatore di un senso molto più ampio, che non può più essere trattenuto all'interno di una significazione precisa, che ha finito per essere impresso in magliette, poster, quadri e per diventare immagine di per sé emblematica
[2].
In questo senso "Casablanca" si è fatto da sé, nel senso che ha saputo andare oltre a se stesso, diventare Mito.
Ma anche solo rimanendo sul piano della sua produzione, potremmo interpretare l'affermazione di Eco in un modo diverso: nonostante la pellicola abbia reso intramontabile il nome di Michael Curtiz nella storia del cinema, non possiamo affidare la paternità del film a Curtiz (o almeno non allo stesso modo in cui potremmo dire, ad esempio, che "
Quarto potere" è frutto del genio di Welles). L'opera è infatti figlia di quella catena di montaggio fatta di produttori, sceneggiatori, registi e attori, che va sotto il nome di
Studio-system e che dominò il sistema produttivo hollywoodiano almeno fino all'inizio degli anni Cinquanta. In questa polifonia produttiva che sta alla base della lavorazione di "Casablanca", a svolgere un controllo centripeto su tutta l'operazione fu, più che Curtiz, Hal Wallis: il produttore della Warner Bros. che intervenne a diversi livelli sul film, dalla sceneggiatura fino al montaggio finale.
Ma per rendersi conto ancora di più dell'impossibilità di individuare un autore singolo a cui assegnare la paternità del film, basta soffermarsi sulla lavorazione della sceneggiatura: lo spunto iniziale è rappresentato da un dramma teatrale intitolato "Everybody Comes to Rick's", scritto da Murray Burnett e da Joan Alison, sul quale i gemelli Epstein si basano per realizzare un primo adattamento cinematografico. Il copione passò poi sulla scrivania di Edward Koch: un altro sceneggiatore della Major che premette sull'elemento politico e ideologico dello script. Il testo di Koch venne però riscritto dagli Epstein e infine corretto da Casey Robinson che ne accentuò i caratteri romantici. A causa di questo continuo susseguirsi di correzioni e riscritture, gli attori protagonisti dovettero recitare le loro parti senza essere a conoscenza di quale sarebbe stato il finale del film, che venne scritto effettivamente soltanto un mese prima della fine delle riprese.
Non dobbiamo pensare a ciò come a un'eccezione, un evento singolare all'interno della logica produttiva degli studios (si pensi al caso emblematico de "Il mago di Oz", alla cui regia si alternarono ben 5 nomi), ma il particolare pluralismo di scrittura che sta alla base di "Casablanca" contribuì in qualche modo all'identificazione della sua stessa essenza. Scrive ancora Eco: "Portati a inventare una trama a braccio, gli autori ci hanno messo dentro tutto. E per mettere tutto sceglievano nel repertorio del già collaudato"
[3].
In questo senso, come vedremo "Casablanca [...] è tanti film, una antologia": al suo interno si mischiano infatti generi, storie, cliché, richiami ad altre opere. Ma proprio in questo panteismo cinematografico sta il tocco sublime di "Casablanca": "due cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono. Perché si avverte oscuramente che i cliché stanno parlando tra loro e celebrano una festa di ritrovamento. Come il colmo del dolore incontra la voluttà e il colmo della perversione rasenta l'energia mistica, il colmo della banalità lascia intravedere un sospetto di sublime"
[4].
Il sublime qui in gioco è dunque il sublime matematico, l'enormità che non può essere contenuta nello spazio di un'inquadratura né tantomeno nello spazio di una storia, ma che trasborda sempre in altre storie, in altri film, in altre interpretazioni e in altri generi. In tal senso, "Casablanca" è sublime.
Il sublime Prendiamo dunque questa definizione di sublime, questa impossibilità di contenimento, come ciò che in qualche modo rappresenta l'essenza stessa di "Casablanca" e vediamo in che modo esso si articola.
Innanzitutto potremmo affermare che il film pone come suo fondamento teorico tutti quei concetti che rappresentano le categorie prime del pensiero americano, e dunque che la sua storia rimanda, più in generale, alla storia stessa dell'America e della cultura a stelle e strisce. In primo luogo c'è la Frontiera, quale luogo privilegiato e al tempo stesso inevitabile, spazio d'azione caratterizzante che a lungo ha guidato l'azione dell'uomo americano anche dopo la leggendaria conquista del West. Fu lo studioso Frederick Turner a identificare nel concetto di "frontiera", il grimaldello privilegiato per accedere alla storia degli Stati Uniti: la frontiera è per Turner la divisione tra uno spazio civile (
Tame) e uno selvaggio (
Wild) e sarebbe proprio in questa dialettica tra civile e selvaggio che la politica e la società statunitense trovano il loro
principium individuationis.
Ma Casablanca è più di ogni altra cosa terra di frontiera, di incontro e soprattutto di scontro (tra nazisti ed eroi della resistenza), di saloon (cos'altro è il bar di Rick se non la modernizzazione dei vecchi saloon?), di gioco d'azzardo, di febbre dell'oro (l'affannosa ricerca di permessi per l'espatrio), di assenza di leggi e di arrivisti spietati (basti pensare al personaggio interpretato da Peter Lorre), di cacciatori di banditi (il capitano Louis) e di eroi senza patria (Victor e Rick). Essa dunque rientra perfettamente in questa dialettica tra civiltà e
wildness. Casablanca è il punto di partenza per una Terra Promessa per la quale si è chiamati a combattere.
La base teorica su cui poggia l'ambientazione del film di Curtiz è quindi, in sostanza, la medesima dell'epica western: mettiamone in evidenza un altro esempio, più sottile: nel primo dialogo tra Rick e Ilsa i due ricordano il loro ultimo incontro, avvenuto a Parigi, al momento dell'occupazione nazista della Francia: "I tedeschi erano in grigio, voi in blu", rammenta il protagonista rivolgendosi alla vecchia fiamma. Grigio e blu: due colori apparentemente casuali, ma che non possono apparire tali a un americano, per il quale il rimando ai colori delle divise della Secessione (scenario storico privilegiato dalla filmografia western) non potrà che essere scontato.
Ma la frontiera è anche ciò che distingue e separa altre due categorie imprescindibili del pensiero americano: la Minaccia, identificata qui dal pericolo nazista sul piano politico e da Laszlo sul piano sentimentale, e la Libertà, epiteto stesso, nonché grande illusione, dell'America. La libertà in particolar modo, acquista un ruolo di primo piano in un film che si fa, come vedremo, manifesto politico, in un periodo molto delicato e cupo della storia mondiale.
Altra categoria tipicamente americana è poi quella dell'eroe libero e senza legge, il cosiddetto
Good Bad Boy, di cui avremo modo di parlare più avanti, e che è impersonato qui dal personaggi di Humphrey Bogart.
Ma le contaminazioni in "Casablanca" chiamano in causa anche elementi tipicamente noir (la nebbia che avvolge l'aeroporto nella sequenza finale, la cupezza del protagonista, la stessa scelta, tra gli interpreti, di Bogart che solo l'anno prima aveva riscosso uno dei suoi massimi successi ne "
Il mistero del falco" di Huston), tendenze espressioniste (l'utilizzo delle ombre in alcune scene) e luoghi canonici della letteratura sentimentale (il triangolo amoroso).
Se, alla fine, a condurre avanti la storia sono soprattutto due linee narrative abilmente intrecciate tra loro: una di tipo poliziesco-spionistico e una di carattere romantico, lo spettatore recepisce tuttavia queste contaminazioni e questi rimandi, li elabora e tuttavia si accorge che essi conducono oltre il film stesso, che non possono essere contenuti nello spazio di una ripresa, che lasciano intravedere "un sospetto di sublime".
Rick vs. Victor - l'eroe americano Se la struttura del triangolo amoroso è tutt'altro che nuova, tuttavia in "Casablanca" essa assume una sfumatura che la rende problematica agli occhi dello spettatore. A farlo notare è sempre Eco, che scrive: "Nel triangolo archetipico c'è un Marito Tradito e un Amante Vittorioso. Qui invece entrambi gli uomini sono traditi e perdenti"
[5]. Rick infatti sceglie di lasciar partire Ilsa con Victor, sacrificando il suo amore alla causa della libertà. Victor allo stesso tempo capisce di aver perso l'amore di Ilsa, ormai legata per sempre a Rick. Victor e Rick sono simili, ma estremamente diversi, almeno fino alla riconciliazione finale. Victor, europeo (dettaglio non di scarsa importanza), è l'eroe senza macchia e senza paura, campione della resistenza e dell'impegno politico, galante e rispettoso, coraggioso e inscalfibile. Rick, americano, è cinico e taciturno, solitario e dedito all'alcool. "La contrapposizione tra Rick e Laszlo riprende il conflitto classico tra
outlaw hero e
official hero, cioè tra l'eroe che si colloca fuori dalla legge o dagli schemi istituzionali, pubblici, e l'eroe ufficiale, [conflitto] che tanta parte ha nei generi classici americani, come in primis il western o il noir"
[6]. Ma se entrambi, ai nostri occhi, devono essere considerati protagonisti delle vicende, e se lo spettatore può ritrovarsi in difficoltà nella scelta se immedesimarsi nell'uno o nell'altro, nel prendere le parti di uno dei due, è chiaro che il primato spetti al
Good Bad Boy: a Rick.
Per argomentare la nostra posizione, guardiamo innanzitutto ad alcuni dati tecnici propri del film. Partiamo dalla presentazione che accompagna l'apparizione sullo schermo dei due personaggi
[7]. Soffermiamoci su Rick.
5'22'': prima inquadratura dell'insegna del locale "Rick's" e primo incontro del pubblico col nome del personaggio. Un aereo, salutato dai profughi di stanza a Casablanca come il simbolo della tanto agognata libertà, incrocia l'insegna. Lo spettatore è dunque fin da subito portato ad associare il nome di Rick a un concetto positivo e centrale per il film.
6'40'': Rick viene nominato per la prima volta, dal capitano Louis, che afferma "
Everybody comes to Rick's!" evidenziando la centralità del personaggio, perno attorno al quale gravita la vita mondana di Casablanca.
6'46'': nuova inquadratura dell'insegna del locale "Rick's".
6'51'': inquadratura dell'insegna, questa volta in primo piano.
8'33'': uno dei dipendenti del locale nomina Rick aggiungendo il fatto che non beve mai con i clienti (
"He never drinks with customers!") evidenziandone dunque da subito il carattere solitario e introverso.
8'57'': ha inizio la sequenza, piuttosto evocativa, dell'apparizione effettiva di Rick e che si costituisce come segue: primissimo piano di un assegno su cui una mano appone la firma "Rick"; primo piano della mano che passa al croupier l'assegno firmato. Attorno ad essa: un drink, un posacenere e una scacchiera; la mdp segue il movimento della mano che porta la sigaretta alla bocca svelandoci finalmente il mezzo busto di Rick.
Notiamo che il personaggio interpretato da Bogart ci viene introdotto in un lasso di tempo abbastanza breve, con una serie di inquadrature e battute che ne descrivono già il carattere e il ruolo, poco dopo la sequenza di apertura del film, in un crescendo di tensione e di attesa che sfocia con la messa a fuoco del volto del divo.
La presentazione di Laszlo è assai più debole:
18'10'': viene nominato per la prima volta Laszlo, che si capisce essere un fuggitivo nemico del regime. Il suo nome turba l'espressione di Rick.
24'13'': Victor viene nuovamente nominato nella discussione tra Rick e il maggiore Strasser, dove si ribadisce il suo ruolo nella resistenza e il fatto che sia fuggito per ben tre volte dalle mani del Reich.
24'54'': apparizione di Laszlo che, assieme a Ilsa entra nel locale in campo medio.
Oltre al fatto che la presentazione di Rick avviene precedentemente rispetto a quella di Laszlo, notiamo che il senso di attesa generato nello spettatore per l'entrata in scena di quest'ultimo è molto minore. Rick è poi presente sulla scena e protagonista già da subito, ancora prima di essere visto, mentre l'arrivo di Victor rimane inizialmente un evento accidentale, e questi si impone sulla scena solo molto lentamente: fattore che già evidenzia il primato di Rick su Laszlo.
Possiamo poi notare che Rick è presente sullo schermo per più di un'ora, mentre Victor per poco più di 25 minuti in totale. Infine, i primi piani dedicati al solo Rick (senza considerare dunque quelli in cui compare assieme a Ilsa) sono 21 in tutto il film, contro i soli 7 totalizzati da Laszlo (il primato però spetta ovviamente alla protagonista femminile, cui Curtiz dedica ben 48 primi piani). Non consideriamo qui altri tipi di inquadrature ravvicinate, come il mezzo primo piano o il mezzo busto, ma i dati si equivalgono.
Tuttavia l'elemento principale, che può fungere da prova definitiva al primato di Rick, è che al suo personaggio venga concesso il volto di Humphrey Bogart: è lui la presenza che il pubblico attende, è lui il divo, ovvero il sublime attoriale. Nel divo "la permanenza del personaggio si situa [...] al di là dei suoi ruoli"
[8]. Bogart è già in sé trasbordante, rimanda già a una certa caratterizzazione e a un certo tipo di valori che lo spettatore conosce bene, ovvero al
Good Bad Boy per eccellenza. Bogart rappresenta il cinico, il duro, colui che "trasforma a poco a poco la sua vita in una ironia tenace a spese della morte"
[9]. È lui: Rick/Bogart (inscindibili l'uno dall'altro) ad avere la meglio sull'attenzione dello spettatore: nonostante le sue cadute morali siano una macchia in confronto alla solidità etica di Laszlo, siamo portati a stare dalla parte di Rick, e questo confluisce a sua volta nel nutrire il sublime di Casablanca.
Il personaggio dell'
outlaw hero è infatti anch'esso, a ben vendere, categoria portante del pensiero americano: "Dall'
Ultimo dei mohicani di James Fenimore Cooper, alle
Avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain, passando per
Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe e
Moby Dick di Herman Melville, l'eroe americano [...] è un uomo in fuga dalle donne e dalla civiltà, un uomo che sceglie una vita errabonda nella prateria o sui mari, a caccia o in guerra, in compagnia di un ‘selvaggio' [...], segno vivente della
wilderness. E l'unica forma di ‘amore' presente in queste vicende è appunto l'amore tra uomini, sublimato nell'amicizia virile tra compagni d'arme"
[10]. Rick rimanda all'eroe americano di sempre, al cowboy del selvaggio West. E non è un caso allora che anche qui, di fronte alla possibilità di coronare l'amore per Ilsa e di fuggire con lei, Rick scelga invece la solidarietà col compagno d'arme, con l'eroe della resistenza Laszlo, unendosi alla battaglia per la liberazione dell'Europa. Possiamo dunque già intravedere un altro motivo per il quale la struttura stilistica del film ci spinge a concentrarci e a identificarci col personaggio di Bogart.
Un manifesto politico È indubbio che una delle scene più evocative di "Casablanca" sia quella in cui Victor, intonando la Marsigliese, zittisce gli inni degli ufficiali tedeschi, provocandone la reazione immediata. Vedendo la pellicola oggi, forse fatichiamo a renderci conto di quanto quella scena potesse risultare potente nel 1942, quando di fatto l'Europa era davvero occupata dai nazisti tedeschi e l'America ancora manteneva una posizione isolazionista e non interventista. La troupe del film è già di per sé immagine di uno scenario storico più che mai preoccupante. Michael Curtiz è nato in realtà a Budapest come Manó Kertész Kaminer, da una famiglia di origini ebraiche. Paul Henreid (Victor Laszlo) è un attore di origini austro-ungariche che emigra negli Stati Uniti nel 1940 per fuggire dalla minaccia nazista, e anche l'origine di molti altri interpreti o caratteristi rispecchia in qualche modo la situazione che il film racconta.
In ciò, con l'evoluzione e la risoluzione finale del
double plot, con la vittoria della coscienza politica sulla passione amorosa, con la costosissima rinuncia di Ilsa da parte di Rick e con il sacrificio personale che permette la fuga di chi rappresenta più di ogni altro la resistenza alla minaccia nazista, "Casablanca" svela il suo
telos.
La struttura del film vuole che lo spettatore americano si concentri e si identifichi con Bogart, perché la vicenda di Rick, che passa da una condizione di cinico isolazionismo all'intervento armato contro il pericolo del Reich (sacrificando in ciò quanto ha di più caro), è un monito all'America stessa: è un appello al Paese e ai cittadini perché escano dall'isolazionismo e intervengano nel conflitto al fianco degli alleati.
La riconciliazione finale tra i due eroi è la riconciliazione dell'America (di cui Bogart rappresenta il sommo divo) con il suo ideale di libertà e una presa di posizione politica ben definita.
E tuttavia Rick/Bogart rimane, anche nella sua scelta politica, un eroe, nel senso più americano del termine, allontanandosi solitario e senza legami, verso un luogo indefinito dove ricercare la propria libertà, come nell'immagine più evocativa di questa concezione eroistica, a cui ancora una volta il film, nella sua essenza sublime, rimanda: quella dell'
Ethan fordiano che, dopo aver ristabilito l'equilibrio nella sua famiglia, volta le spalle alla casa e alla macchina da presa e si allontana solitario, tra le sabbie rosse della Monument Valley. Una scena entrata nell'immaginario collettivo e passata alla storia, che non può che ricordare il sublime finale di "Casablanca".