Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
5.0/10
Ce lo si immagina il trentasettenne Rodrigo Cortès mentre racconta eccitato il soggetto (di Chris Sparling) a amici parenti e produttori. Le reazioni saranno state diverse, tra chi sorrideva bonariamente, chi si lasciava trasportare dall'entusiasmo e chi si domandava come si potesse realizzare un film tutto in una bara con un unico personaggio. Ma in fondo la sfida di Cortès era questa: come far rimanere incollato alla poltrona lo spettatore per 94 minuti?

Il pubblico indiegestionato del festival di Robert Redford, che negli ultimi anni ha lanciato l'hype su opere dalla consistenza discutibile (tutti ci ricordiamo del sopravvalutato "Juno"), si deve essere lasciato prendere dal panico nel seguire le sorti di Paul Conroy, autotrasportatore preso in ostaggio nel territorio iracheno e seppellito vivo, al fine di ottenere un riscatto. Fatto sta che dopo l'anteprima al Sundance la pellicola del regista spagnolo era già diventata il caso cinematografico dell'anno e l'entusiasmo degli spettatori ha fatto da apripista ad un largo consenso critico.

Partiti i titoli di testa saulbassiani si capiscono con facilità i motivi che hanno spinto la critica al paragone con Alfred Hitchcock che, nei riferimenti cinematici, sta al thriller come i Beatles stanno alla musica pop: viva l'originalità insomma. Questi giovani d'oggi annaspano di fronte a Sir Alfred (nemmeno a uno di belle speranze come Bryan Singer è andata tanto bene), mentre registi ancora arzilli come Polanski e Scorsese ne riescono a riproporre i meccanismi di tensione con limpidezza e personalità. Inoltre Cortès era probabilmente già soddisfatto di aver tra le mani un'idea tanto semplice quanto efficace e vi aggiunge soltanto una spruzzata di umorismo nero e varie frecciatine al "sistema", per non farsi mancare chi si lancerà nelle solite spiegazioni politico-metaforiche "sull'attuale situazione americana". E se questo per qualcuno non fosse abbastanza, si spreca con qualche virtuosismo di macchina per tenere alta l'attenzione: carina l'idea del rivolo di whiskey che fa da miccia, una sequenza quasi auto-parodica che sottolinea come in un campo così striminzito anche la tensione abbia tempi e spazi ridotti. Da questo particolare però emerge il limite del film: esaurito l'effetto sorpresa e non determinando alcun contesto - né sottotesto - reale, "Buried" si appiattisce rapidamente e non regala alcun sussulto.
Complimenti alla prova di resistenza di Ryan Reynolds (noto soprattutto per essere il marito di Scarlett Johansson) anche se fa capire di non essere stato attento alle lezioni di MacGyver: oltre al cellulare e alla torcia aveva persino una fiaschetta, uno zippo e un coltellino. Peccato si impegni solo ad usare - male - un cellulare, a incastrarsi nella cassa (che di tanto in tanto si allarga) e ad affettarsi un mignolo.

Un pregio non da poco di "Buried" è quello di scorrere senza troppe difficoltà verso l'epilogo (prima o poi l'aria dovrà finire), del cui tanto osannato effetto-sorpresa glissiamo volentieri. Auguriamo invece a Cortès di avere un'altra idea geniale, adatta questa volta a un lungometraggio. E che pensi più in grande: magari a uno sgabuzzino!
17/10/2010

Cast e credits

cast:
Ryan Reynolds


regia:
Rodrigo Cortés


titolo originale:
Buried


distribuzione:
Moviemax


durata:
94'


produzione:
Safran Company; The Versus Entertainment


sceneggiatura:
Chris Sparling


fotografia:
Eduard Grau


scenografie:
María de la Cámara; Gabriel Paré


montaggio:
Rodrigo Cortés


costumi:
Elisa de Andrés


musiche:
Víctor Reyes


Trama
Dopo essere stato rapito in Iraq, l'autotrasportatore Paul Conroy si risveglia in una bara nel deserto armato solo di un telefono cellulare, uno Zippo e un coltello. Inizia per lui una dura corsa contro il tempo per scappare dalla claustrofobica trappola mortale in cui è stato rinchiuso
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