Si discute da sempre sulla presunta utilità dei remake, ed è un discorso difficile da dirimere. Ci possono essere diversi fattori che portano al rifacimento di un film: perché considerato vecchio, ossia appartenente a un'epoca ormai lontana, perché fu un flop e si potrebbe rilanciare il franchising, perché è un film che ha fatto successo da un'altra parte del mondo e quindi "perché no?". Quest'ultima è la motivazione che ha spinto i produttori ad assecondare Matt Reeves (regista di "Cloverfield"), innamoratosi dell'originale svedese e deciso a volerlo riproporre per il pubblico americano. Il fulcro dell'operazione di Reeves sta proprio qui: la nazionalità. Il geniale Michael Haneke si prese l'onere personalmente di rifare "Funny Games" e diresse "Funny Games U.S.", scrivendo un trattato teorico sul potere virulento della sua opera, ponendosi quindi al polo opposto rispetto all'esperimento pop dello "Psycho" di Van Sant. "Let me in" si può tranquillamente definire come la versione americana di "Låt den rätte komma in". Infatti, la pellicola statunitense si distingue in verità solo per un uso dell'effettistica più compiuto, una più invasiva colonna sonora (firmata Michael Giacchino) e una narrazione che si ricollega all'incipit tramite un lungo flashback, aspetto che nelle intenzioni dovrebbe aumentare il tasso di thrilling. Stranamente il pubblico non ha risposto e "Blood Story" (traduzione 'italiana' di "Let me in"), nonostante un'inaspettata lode critica, è stato un flop al botteghino. Forse perché nonostante tutto i ritmi sono quelli lenti del film europeo, cosa rimasta indigesta ai più.
In breve: Owen, un dodicenne che abita presso un grande condominio a Los Alamos in New Mexico, si sente solo ed è tormentato dai bulli. Una sera mentre spia i vicini di casa col suo cannocchiale nota che sono in arrivo dei nuovi inquilini: un adulto e una bambina, che dovrebbe avere più o meno la sua età. Owen conosce Abby e ne intuisce le particolarità pur non capendo quale segreto nasconda. Abby, come lei stessa gli rivelerà, non è una bambina: è un vampiro.
Nel rimpasto della trama in salsa statunitense, viene annullato lo spazio del proletariato urbano, invero snodo non totalmente compiuto del film originale, ma Reeves, o chi per lui, dimentica in Svezia anche molto altro.
La vera marcia in più del film originale era quella di saper sfruttare l'elemento orrorifico per delineare un quadro cupo della fine dell'infanzia e saper osservare l'ambiguo gioco di forze che si viene a creare in un rapporto sentimentale complesso e necessario. Il remake rende superficiale e rompe quei ponti che facevano del film svedese, pur coi suoi difetti, un'opera originale e unica. Ad esempio, quando in "Lasciami entrare" Eli, dopo essere entrata a casa di Oskar senza invito e, quindi, dopo aver abbondantemente sanguinato, si va a cambiare, viene spiata dal ragazzo che vede per un attimo, in controcampo, il suo sesso chiuso: questa sequenza in "Blood Story" ha un'unica e quasi impercettibile differenza, ovvero manca il raccordo sul sesso di Abby. Come fosse una sineddoche dell'intero impianto filmico, nella pellicola di Reeves salta la capacità di saper guardare veramente "l'altro", di scavare nell'animo dei protagonisti costruendo un doppio fondo metafisico: se il film di Alfredson nella sua ruvidezza rifletteva sull'immagine che si dà di se stessi al mondo, Reeves trasla solo la patina più superficiale lasciando in Svezia la sostanza filmica. E se Oskar si riflette alla finestra, sperando di potersi un giorno vendicare dei suoi aguzzini e proprio per questo si accorgerà dell'arrivo di Eli, Owen è un più modesto guardone che, maschera in faccia, sogna di essere uno Jason Voorhees in miniatura.
Un po' sprecati in ruoli marginali Richard Jenkins (il custode di Abby) e Elias Koteas (il detective che indaga sugli omicidi), mentre si conferma Kodi Smit-McPhee, già figlio di Viggo Mortensen in "The Road". La pulita Chloe Moretz non fa rimpiangere Lina Leandersson (sebbene siano indimenticabili i suoi occhi grandi e profondi) e siamo certi che farà strada. Se i distributori italiani ce lo concedono, la vedremo ad aprile 2011 nei panni della grintosa Hit-girl in "Kick-Ass". Di questo film, presentato in anteprima al Festival di Roma, non ne sentiamo invece l'impellente bisogno.
cast:
Chloe Moretz, Kodi Smit-McPhee, Richard Jenkins, Elias Koteas
regia:
Matt Reeves
titolo originale:
Let Me In
distribuzione:
Filmauro
durata:
115'
produzione:
Overture Films; EFTI; Hammer Film Productions
sceneggiatura:
Matt Reeves
fotografia:
Greig Fraser
scenografie:
Ford Wheeler
montaggio:
Stan Salfas
costumi:
Melissa Bruning
musiche:
Michael Giacchino