La crisi europea dei rifugiati, scoppiata nel 2015 quando centinaia di migliaia di sfollati, provenienti soprattutto dalla Siria in guerra e dall'Africa subsahariana, si sono riversati alle porte dell'Europa attraverso i Balcani e il Mediterraneo, richiedendo asilo politico ai vari Paesi membri, ha creato una profonda spaccatura all'interno dell'Unione e della sua opinione pubblica, fino a intaccare il senso di solidarietà e gli immancabili pregiudizi insiti nella cosiddetta società civile e in ogni individuo che si sia posto la questione: accogliere queste persone o no, e se sì, in quale modo. In Germania, il dibattito è stato segnato dalla decisione di Angela Merkel di "aprire le porte" del suo Paese: "Wir schaffen das" (Ce la faremo), diventò così la sfida ma anche il monito lanciato dalla Cancelliera alla stessa società tedesca; una scelta coraggiosa ma divisiva che, nonostante sia stata per lo più apprezzata dai suoi concittadini, fieri della cosiddetta cultura dell'accoglienza, ha innescato una riflessione profonda sull'identità e il futuro di un intero Paese.
È lecito provare a riderci sopra? Parrebbe di sì: questa frizzante commedia di Simon Verhoeven, campione d'incassi in Germania e ora distribuita anche in Italia, non vuole utilizzare il politicamente scorretto come metodo sistematico e furbastro per deridere la questione; al contrario, la sua arma vincente è l'originale ribaltamento di prospettiva. Ci si chiede, infatti, che cosa succederebbe se la vita del povero Diallo, un ragazzo nigeriano scampato al terrore estremista di Boko Haram, venisse sconvolta dagli Hartmann, una ricca famiglia bavarese che l'ha preso con sé in attesa che la sua richiesta di asilo possa venire esaminata?
Ma chi sono questi Hartmann? All'apparenza una famiglia modello, in realtà un nucleo familiare moderatamente impazzito: Richard, apprezzato chirurgo che vive la tipica crisi di mezza età e non si rassegna a invecchiare; sua moglie Angelika (Senta Berger, una vecchia conoscenza del cinema italiano degli anni 60 e 70), direttrice scolastica ora in pensione che non sa come impiegare il suo tempo, indecisa tra vini pregiati e visite "solidali" al centro dei rifugiati; i figli Sophie e Philip, la prima persa nelle secche fuori corso dell'università e tormentata da uno stalker geloso, l'altro un manager divorziato e
workaholic troppo dentro una fusione aziendale a Shangai per badare al figlio adolescente, che si trastulla con l'hip hop e le droghe leggere.
Quando Angelika decide che anche gli Hartmann devono finalmente avere "il loro rifugiato", il prescelto Diallo, riconoscente per il sostegno ricevuto, ma prudente e timoroso che la sua domanda di asilo non venga accettata, si trova a navigare a vista, cercando di non farsi travolgere dalle "onde alte" della solidarietà di casa e le crisi di nervi in cui imperversano i membri dell'allegra famiglia tedesca.
Una produzione molto ben confezionata, con un cast di attori perfettamente in parte e notissimi al grande pubblico in Germania: oltre alla già citata Berger, nella cui sterminata filmografia sono presenti grossi autori internazionali come
Peckinpah, Monicelli e
Wenders, troviamo due eclettici interpreti come Florian David Fitz ("
The Most Beautiful Day - Il giorno più bello") e Elyas M'Barek ("
L'onda").
Così, tra improbabili feste di benvenuto "non autorizzate" in cui si intrufolano persino le zebre, difficili lezioni di tedesco, controlli un po' sui generis dell'antiterrorismo, ronde di raffazzonati fanatici di estrema destra anti migranti, il regista e sceneggiatore Simon Verhoeven riesce a imbastire un ritmo incalzante e divertente, grazie ai toni leggeri della commedia romantica. Tuttavia non secondario è l'intento, anche questo riuscito, di mostrare quella lacerazione sociale e il dubbio interiore che fa da premessa e sfondo al film: una famiglia che, insieme al proprio Paese, s'interroga su sé stessa, cercando di superare le proprie contraddizioni e manie, un passaggio obbligato (e molto terapeutico) per provare a rispondersi.