Il thriller sudcoreano è tornato alla ribalta confermando nel FEFF 22 gli apprezzamenti che gli avevano permesso di ottenere il premio della giuria al IFFR 49. Sulla falsariga di "Mademoiselle" (Park Chan-wook, 2016), "The Housemaid" (Im Sang-soo, 2010), "The Taste of Money" (Im Sang-soo, 2012) e, più recentemente, "Parasite" (Bong Joon-ho, 2019), "Beasts Clawing at Straws" rivela l'abilità dei cineasti locali nel rendere imprevedibile l’andamento della trama, pur partendo da un soggetto e da un genere ben determinati.
Pur vicino per spirito alla commedia ultraviolenta, rinunciando sapientemente alla linearità del racconto giapponese di Keisuke Sone, cui liberamente si ispira, l’opera prima di Kim Yong-hoon mostra su questo aspetto larghi debiti nei confronti del "Pulp Fiction" tarantiniano. La divisione del film in sei capitoli, i cui titoli lasciano trasparire quel tanto di ambiguità necessaria a tenere avvinto lo spettatore, possono essere invece considerati un omaggio al soggetto nipponico. I flashback e i flashforward sono tanto inaspettati quanto ben congegnati. La costruzione assolutamente eccentrica della storia lascia allo spettatore una certa libertà nel gusto di far combaciare le tessere del puzzle per stabilire l’esatta relazione tra i vari personaggi. Il pubblico, infatti, prima di potersi raccapezzare nell’effluvio di imprevisti e colpi di scena impiega circa una quarantina di minuti, durante i quali aspettative e giudizi tracimano al rango di azzardi, se non di illazioni.
Se la impegnativa ma solida e accurata struttura narrativa, intessuta di esistenze che inizialmente paiono non avere tra loro legame alcuno, guarda a Tarantino, Kim Yong-hoon, per il carattere dei suoi personaggi e la venatura a tratti ironica con la quale viene raffigurata la loro dabbenaggine, sembra subire il fascino delle opere dei fratelli Coen, come "Fargo" e soprattutto "Non è un paese per vecchi". Mentre però il lavoro dei Coen diventa soprattutto occasione per uno spaccato sulla società della piccola provincia degradata dall’avidità, qui, grazie all’epilogo, siamo di fronte al tentativo di salvaguardare comunque un principio in base al quale il destino dà a ciascuno ciò che merita.
In una città portuale della Corea del Sud, un umile e dimesso addetto alle pulizie presso una sauna ritrova una lussuosa borsa in uno stipetto dopo che tutti i clienti sono andai via. Dopo aver scoperto che contiene una grossa somma di danaro in contante, la ripone momentaneamente nello scantinato. Jung Man-sik è il primo dei personaggi principali e vive una difficile situazione familiare: la moglie è anche lei addetta alle pulizie nelle strutture portuali della città e lo scarso reddito non consente al figlio di frequentare l’università. Per giunta in casa vive anche la madre, che mostra i primi segni della demenza senile; quel che è peggio, l’anziana provoca una rovinosa caduta alla nuora che rimane dunque senza lavoro. Altro personaggio chiave è Tae-young (il talentuoso Jung Woo-sung) un funzionario della dogana privo di scrupoli che ha contratto un debito nei confronti di un pericoloso usuraio dall’eloquio mellifluo, ma accompagnato dal suo sgherro di fiducia, muto, sempre pronto a usare il coltello per ricordare le scadenze ai debitori. Anche l’avvenente ma spietata tenutaria di un night club (l’affermata Do-yeon Jeon), che poi si scoprirà essere la convivente di Tae-young, è interessata al contenuto della borsa. E’ il personaggio che per la sua determinazione e la sua anima nera è accostabile a più di un personaggio femminile di Tarantino. Vi è poi un poliziotto, sagace ma non abbastanza, le cui indagini su un macabro delitto incrociano le vite degli altri personaggi. Completa il quadro una giovane donna che lavora come intrattenitrice nel night club e della quale si invaghisce un cliente, giovane immigrato cinese. La donna gli confida di avere un rapporto burrascoso col marito che la maltratta regolarmente. Scoperta l’esistenza di una polizza sulla vita, per intascarne il premio i due concertano di liquidare il violento marito di lei. Ed è appunto questa la provenienza del danaro di cui tutti cercheranno di impossessarsi. Qui c’è però uno dei tanti imprevisti: il complice della giovane uccide un altro uomo scambiandolo per il marito della donna. A questo punto prima è il complice che, per gli scrupoli di coscienza da cui è attanagliato, viene ucciso dalla donna e poi è lei stessa a cadere vittima della tenutaria del night club. Dopo aver disseminato dietro di sé una lunga scia di sangue, la borsa con il prezioso contenuto ritornerà rocambolescamente a chi l’aveva trovata e ne aveva più bisogno. Rocambolescamente, ma secondo una logica che riconosce e premia l’umiltà di Jung Man-sik e della sua famiglia.
La messa in scena, come pure la fotografia del film, è quanto mai azzeccata: le ambientazioni sono spesso nel chiuso di spazi connotati dalla grettezza e dallo squallore; i volti dei personaggi sono sovente attraversati dalle potenti luci al neon ora bluastre, ora rossastre, che riverberano su di esse il mondo fatuo costituito dalle luminarie dei night club, delle attività commerciali aperte fino a notte fonda, del cibo di cattiva qualità e consumato di fretta. Spiccano poi metafore ittiche (il killer che divora ostentatamente pesce crudo, tatuaggi raffiguranti squali eseguiti in vita e ritrovati dagli inquirenti su corpi smembrati). Notevole il fatto che il luogo che deciderà del destino della borsa è un bagno pubblico: è qui che la tenutaria del night club viene uccisa, ed è qui che verranno casualmente ritrovate le chiavi che condurranno alla borsa. Da una sauna a un bagno pubblico: il danaro ha trascinato tutte le sue vittime verso il basso, in una spirale di morte senza scampo. Rispetto al soggetto originario, il regista snellisce lo scavo psicologico di alcuni personaggi, come ad esempio quello sulla madre di Jung Man-sik, perché la pellicola vive soprattutto dell’intreccio tra le vite dei personaggi più che della sfaccettatura dei singoli.
"Beasts Clawing at Straws" è un film degno di più visioni, ma lascia fin da subito l’impressione di un’opera assolutamente originale e rotondamente conclusa purchè lo spettatore sia docilmente disposto a farsi condurre per mano da un autore che non tarderà a far riparlare di sé.
cast:
Kim Jun-han, Jung Ga-ram, Shin Hyun-bin, Jin Kyung, Jeong Man-sik, Bae Sung-woo, Jung Woo-sung, Jeon Do-yeon
regia:
Kim Yong-Hoon
titolo originale:
Jipuragirado Jabgo Sipeun Jibseungdeul
durata:
108'
produzione:
B.A. Entertainment
sceneggiatura:
Kim Yong-hoon
fotografia:
Kim Tae-sung
montaggio:
Han Mi-yeon
costumi:
Cho Hee-ran
musiche:
Nene Kang