Nato come cinema di denuncia quello ambientato nelle banlieue parigine, a partire da “L’odio” di Mathieu Kassovitz, opera seminale se ce n’è una, è diventato un vero e proprio filone, palestra d’esordio per giovani registi e verifica sul campo per quelli (il Jacques Audiard di “Dheepan - Una nuova vita”) che, per ragioni anagrafiche, non lo sono più. Dunque non stupisce il fatto di ritrovarlo in concorso a Venezia, data la capacità dello stesso di intercettare gli umori di una specifica area sociale e di farsene carico con una riconoscibilità capace di farsi capire a ogni latitudine geopolitica. In un’ottica esclusivamente cinematografica la presenza di “Athena” all’interno del concorso veneziano era chiamata a rinverdire l’importanza del genere in questione sulla scia del grande successo riscosso a Cannes da “I Miserabili”.
Un paragone non peregrino, quest’ultimo, poiché la scena d’apertura di “Athena”, diretto da Romain Gavras, sembra cominciare laddove finiva il film di Ladj Ly (coautore della sceneggiatura), ovvero sulla scalinata di un palazzo in cui dei poliziotti cercano invano di difendersi dalla rappresaglia delle nuove generazioni di diseredati. Alla sovrapposizione visiva con la sequenza finale de “I Miserabili” il lungometraggio di Gavras aggiunge quella narrativa perché anche qui a scatenare il caos è la violenza dello Stato: nello specifico il tragico omicidio di un bambino appartenente alla comunità locale da parte della polizia verso cui si rivolta la popolazione di Athena, quartiere dormitorio trasformato in fortezza da Karim, fratello della vittima, grazie al seguito di rivoltosi che ha risposto alla sua chiamata alle armi. Similitudini presenti anche nella particolarità di delineare un fronte interno alla rivolta tutt’altro che unito, con i tre fratelli della vittima animati da punti di vista opposti: il primogenito, spacciatore, interessato a salvaguardare i suoi affari; Abdel, militare di carriera, intenzionato a evitare il verificarsi di una tragico escalation.
Narrato nel rispetto dell’unità spazio-temporale (un must in questo tipo di film), ad “Athena” non si può negare il plauso di un inizio a dir poco folgorante, rappresentato dal magnifico piano-sequenza in cui, come fossimo all’interno di un videogioco, il regista ci catapulta in mezzo al caos che sta montando tra gli abitanti del quartiere. Fin dalle prime immagini la sensazione trasmessa è quella di una forza straripante e di una grandeur che di solito si ritrova per lo più nel cinema americano. Gavras non gli è da meno né in termini cinetici né di uso drammaturgico della pista sonora, chiamata a commentare ma anche a scandire in termini di ritmo le azioni dei personaggi. Un dispositivo, quello pensato dal regista, destinato a reggere fintanto che l’autore francese riesce a tenere sotto controllo la sua voglia di stupire. Peccato che la tendenza ad esagerare, evidenziata da una recitazione perennemente sopra le righe, in cui le esplosioni di rabbia e tragedia si ripetono senza soluzione di continuità, finisca per alimentare una voglia di superarsi capace di influenzare tanto l’impianto visivo, votato a un’ubiquità tecnologica, realizzata attraverso l’uso di droni ma anche della computer graphica, tanto la struttura narrativa, destinata ad allargare il discorso mettendovi dentro il più possibile (a un certo punto si accenna allo scoppio di una guerra civile in tutto il Paese).
Come nella storia di “Pierino e il lupo”, anche “Athena" con il passare dei minuti perde di verosimiglianza e quindi di credibilità diventando come certi blockbuster in cui tutto diventava esercizio di stile: ivi compresi i personaggi, sottomessi alla dittatura delle immagini e funzionali al clamore della messa in scena; come capita per il repentino cambio di rotta di Adbel, troppo meccanico e ingiustificato per non risultare programmatico.
Un vizio di forma ancora più evidente nell’immagine finale, del tutto superflua e anzi dannosa nel sovraccaricare il peso della visione con la denuncia di un complotto che arriva fuori tempo massimo anche nel rimettere in discussione tutto quello che abbiamo appena visto. Più che per un Festival di arte cinematografica “Athena” sembra realizzato pensando a un pubblico meno cinefilo e desideroso di essere intrattenuto da una storia che non ha bisogno di “traduzioni”. L’uscita su Netflix gli farà trovare un accoglienza più consona alla sua proposta.
cast:
Dali Benssalah, Sami Slimane, Anthony Bajon, Alexis Manenti, Ouassini Embarek
regia:
Romain Gavras
distribuzione:
Netflix
durata:
97'
produzione:
Iconoclast, Lyly Films
sceneggiatura:
Romain Gavras, Ladj Ly, Elias Belkeddar
fotografia:
Matias Boucard
montaggio:
Benjamin Weill