Astolfo, protagonista di questo film, ha nobili natali ma diversi dal cugino di Orlando che dovette volare insieme all'ippogrifo per recuperare il senno del paladino smarrito sulla Luna. Proviene da un'antica e ormai decaduta famiglia aristocratica che ha ancora il suo palazzo nel borgo laziale di Artena, ma Astolfo abita in un normalissimo appartamento di Roma, nel quartiere di Monteverde. Accade che la padrona di casa gli faccia visita per avvertire il nostro professore in pensione che la figlia, sposandosi, avrà presto bisogno di quell'appartamento. Astolfo non mette in atto alcun tentativo di resistenza, non cerca nemmeno un altro appartamento: la sua reazione è al polo opposto di una altro protagonista senile, quello de "L'angelo dei muri" che, sfrattato, tirava su un tramezzo dove nascondersi, non rinunciando alla propria abitazione. Astolfo raccoglie le sue cose, le carica sulla sua Panda e parte per il paese natio. C'è quindi una partenza all'inizio del film di Gianni Di Gregorio, un allontanamento dall'urbe capitolina, ambientazione prediletta dei suoi film precedenti: il vecchio Astolfo, senza casa né legami (la moglie da cui ha divorziato vive beata in Svizzera), accetta l'espulsione dalla città, di andare ai margini e tornare alle origini.
In questo piccolo borgo antico dove tutti si conoscono, la vita procede lenta e il ritorno di Astolfo è sufficiente per suscitare la curiosità degli avventori del bar che, tra una partita a carte e l'altra, si stupiscono che sia ancora vivo. Il protagonista scopre che la parrocchia si è allargata, occupando un prezioso salone di sua proprietà e che, a casa sua, ci dorme da diversi anni un disoccupato che non sa dove altro andare. A questo rapidissimo succedersi di accidenti, Astolfo risponde serafico e bonario: accetta la compagnia dell'occupante abusivo e, andandogli a fare la spesa, si porta dietro un consigliere (Gigio Morra) che promette di saper cucinare un ragù sensazionale (antica ricetta della nonna). Così Astolfo raccoglie volontariamente o meno una brigata di persone sole e spiantate, mettendo insieme una comune solidale, legata dal piacere dello stare insieme, al calore della tavola imbandita, giocando a carte e ricordando qualcosa del passato. Invitato a pranzo dal cugino, attempato tombeur des femmes che ha scialacquato la fortuna familiare e si gode gli ultimi scampoli continuando ad andare in giro con la sua Spider, conosce casualmente Stefania (Sandrelli) innamorandosene. Gli avversari sono paradossalmente le istituzioni, rappresentate dalle subdole prepotenze del parroco, che "pian piano si sta mangiando tutto", e del sindaco, il quale ha edificato su un terreno che anticamente apparteneva alla famiglia di Astolfo; e anche la famiglia di Stefania, che indaga su di lui e intima alla donna di interrompere la frequentazione, perché il prete mormora sia un anticlericale circondato da altri balordi.
Gianni Di Gregorio, giunto al suo quinto lungometraggio, firma una commedia dal tono lieve, una fiaba romantica della terza età che prosegue il percorso del tutto personale e solitario del regista romano. A partire da "Pranzo di ferragosto", un piccolo film che fu un fenomeno del 2008, Di Gregorio ha codificato una sua maschera della commedia dell'arte finora messa in scena attraverso l'omonimo personaggio di Gianni e che, per la prima volta, rinasce sotto un altro nome. Questa maschera ha attraversato diverse gradazioni adattandosi a personaggi che erano sia indolenti e passatisti, sia dolci, conviviali e romantici. I protagonisti di Di Gregorio cercano di barcamenarsi in una società mutata e da cui si sentono gradualmente estranei, ricercando quei legami e quei sentimenti che il tempo sembra aver eroso e la contemporaneità alienato. "Astolfo" è l'esito di un lavoro fuori da ogni moda e anche da ogni logica di mercato, un cinema dimesso e sempre composto in tono minore, senza sussulti narrativi, procedente per quadri in cui il nostro deve superare ostacoli non particolarmente invalicabili per raggiungere l'obiettivo desiderato. È sintomatico dell'idea di Di Gregorio di un cinema semplice questo suo perpetuo stare in scena, seguendo delle variazioni sul medesimo tema, ritraendosi come un uomo al fondo bonario che prova ancora dei desideri, che ricerca piccoli o grandi piaceri che possano ancora rendere interessante l'esistenza. È infatti nell'interazione tra il protagonista e i suoi nuovi amici, a cui stavolta si aggrega un volto noto e amato come quello di Stefania Sandrelli, che si sviluppano le storie minute scritte dall'autore. Sebbene in modo peculiare, l'opera del regista romano appare come una piccola autarchia, una sorta di bolla fuori dal tempo in cui il magico spazio della scena condiviso tra diversi attori permette un reale contatto umano, una connessione empatica che coinvolga con gentilezza anche lo spettatore. "Basta guardarsi" predica Astolfo a Stefania, imbarazzata per la relazione con questo personaggio bizzarro.
E poi ci sono i tempi della commedia ben serviti da questa truppa di scafati istrioni: si pensi alla scena in cui il cugino accompagna Astolfo da una sua fiamma adolescenziale che non vede da quarant'anni, e questi che finge di entrare nel bar; oppure alla pioggia che filtra dentro la cucina rovinando il ragù, perché la parrocchia non ha mai pagato per le riparazioni del canale di gronda. Brevi gag costruite sulla prossemica e l'espressività attoriale, in quanto Di Gregorio non è un regista particolarmente tecnico e, pur guardando all'umorismo e all'umanità di Jacques Tati, non ne possiede certo l'ambizione né la creatività nell'uso del linguaggio cinematografico. "Astolfo" è l'esile frutto di un cinema che offre un'idea di garbata anarchia, tramite la quale gli individui possono formare una piccola comunità per difendersi dal potere della chiesa, della politica e per porre una resistenza gentile al tempo che passa.
cast:
Gianni Di Gregorio, Stefania Sandrelli, Gigio Morra, Alberto Testone, Simone Colombari, Alfonso Santagata
regia:
Gianni Di Gregorio
distribuzione:
Lucky Red
durata:
91'
produzione:
BiBi Film con Rai Cinema
sceneggiatura:
Gianni Di Gregorio, Marco Pettenello
fotografia:
Maurizio Calvesi
scenografie:
Isabella Angelini, Luigi Conte
montaggio:
Marco Spoletini
costumi:
Gaia Calderone
musiche:
Ratchev & Carratello