La casa nella prateria californiana degli anni Cinquanta ospita la famiglia Mullins: isolata e felice finché la piccola Annabelle viene investita da un'auto. Il signor Mullins smette di fabbricare bambole, la signora Mullins si ritira nelle sue stanze per non uscirne mai più, la cameretta della figlia viene chiusa a chiave per sempre.
Qualche tempo dopo per i Mullins è il momento di combattere solitudine e depressione, accogliendo fra le mura domestiche una suorina messicana e un gruppetto di orfanelle. Il fantasma di Annabelle o ciò che sembra esserlo si palesa a turbare i sonni della nuova comunità, quasi tutta al femminile e con caratteristiche tali da rievocare Weir e Siegel, nell'anno del remake di "The Beguiled".
Casa Mullins è la summa di ogni casa infestata nella filmografia dell'horror pseudogotico. Ce lo dice David F. Sandberg, già regista di "Lights Out", nei minuti iniziali disseminati di innumerevoli pistole di Čechov in forma di oggetti, scenografie, circostanze, l'ordinario destinato a ripetersi sotto il segno della paura. Dichiarazione di intenti classici posta in riuscito contrasto con ambientazione campagnola e fotografia assolata a cura di Maxime Alexandre, il quale trae dal proprio lavoro su "Le colline hanno gli occhi" di Aja lo stesso clima alla american gothic, ma così da sfruttare in maniera più esaustiva le alternanze giorno-notte e interno-esterno.
Il maligno ruota attorno a Janice, orfanella azzoppata dalla polio, dopo il ritrovamento della famigerata bambola in uno sgabuzzino con le pareti tappezzate di pagine della Bibbia, strappate e incollate. Le apparizioni paranormali si moltiplicano e danno occasione di approfondire ma non troppo i caratteri delle protagoniste, dalla frivolezza delle più adulte all'amore fraterno tra Janice e Linda, la più piccola del gruppo. A margine, nel dramma personale e nel mistero dei Mullins si inserisce la fede incrollabile di suor Charlotte, però tout court chi se ne frega?
Della psicologia, ma pure dell'empatia spettatoriale, non frega nulla a Sandberg né allo sceneggiatore Dauberman (quest'ultimo fra gli autori del nuovo "It"). Il loro gioco, talmente scoperto da meritare applausi, spazza via tridimensionalità e strutture narrative manco fossero briciole. Le relazioni fra personaggi si esauriscono in premesse nel giro di pochi minuti; le immancabili spiegazioni sulle origini del male vengono sbrigate in flashback a metà pellicola, un contentino rifilato al titolo (Creation) piuttosto che una normata esigenza produttiva; e proprio quel Creation pare vada a riferirsi non tanto all'aggancio finale al capitolo precedente, e quindi all'universo "Conjuring", quanto alla tecnica cinematografica topica applicata e replicata con passione cieca. Nettate le formalità infatti, da un certo punto in poi "Annabelle 2" taglia fuori procedimenti sequenziali logici, comportamenti razionali, verosimiglianza, qualsiasi cosa ricordi vagamente un racconto e comincia a snocciolare scene prese dal vademecum dell'horror moderno, una dietro l'altra, a sé stanti, cortometraggi illustrativi sulla creazione di climax, tensione e spavento sul grande schermo. Scuola Argento, verrebbe da pensare, ma qui i modelli sono altri, anzitutto il James Wan da cui tutto è nato e con lui le sue ascendenze, Craven e Hooper in testa, assieme a derivazioni kinghiane onorevoli, es. "Jeepers Creepers", eccetera.
Non si può comunque affermare che "Annabelle 2" sia un film derivativo, e laddove modelli sussistono sono brutalmente scarnificati con l'obiettivo di accelerare e amplificare il pompaggio dei meccanismi horror in senso generale, senza allusioni mirate.
D'altro canto non si può davvero affermare nemmeno che il film abbia uno stile distinguibile, ma per una volta potrebbe non essere un difetto ed essere invece la risposta a un'impostazione precisa, deliberata, basata su due cognizioni fondamentali: di causa e di limite. Sandberg conosce il genere, conosce se stesso e conosce i parametri dell'operazione in cui è coinvolto; lavorando sul materiale a disposizione, sulle proprie capacità e sul target commerciale, ha realizzato un prodotto ricco di trucchi ma senza inganni, che rivede l'uso spregiudicato di espedienti spesso apostrofati a ragione come lacunosi e dozzinali spogliandoli, accentrandoli, facendoli monologare, caricandoli di efficacia eccezionale.
Interrogarsi sulla qualità del film o portarlo ad argomento in considerazioni sulle funzioni del cinema di genere sarebbe riflettere in termini sbagliati, in questo caso. Non c'è niente di inquietante e perdurante in "Annabelle 2". Reazioni e paure che innesca sono le più istintive, immediate, fisiche, superficiali. Malgrado la macchina da presa si conceda libertà di movimento notevoli, anch'esse con montaggio, sound design e ogni minima accortezza estetica sono a totale servizio dell'effetto cercato, che è senza remore il proverbiale salto sulla sedia. Poco male, anzi. Ci sarebbe la tentazione di scriverne come di un grandioso, anarchico monumento all'horror, ma in verità il risultato definitivo è più simile a un lungo giro ben congegnato in una funhouse.
cast:
Talitha Bateman, Lulu Wilson, Stephanie Sigman, Miranda Otto, Anthony LaPaglia
regia:
David F. Sandberg
titolo originale:
Annabelle: Creation
distribuzione:
Warner Bros. Pictures
durata:
109'
produzione:
Peter Safran, James Wan
sceneggiatura:
Gary Dauberman
fotografia:
Maxime Alexandre
scenografie:
Jennifer Spence
montaggio:
Michel Aller
costumi:
Leah Butler
musiche:
Benjamin Wallfisch