In "La siciliana ribelle" (2009), Marco Amenta, autore sia di film che di documentari, tratteggiava la protagonista di una vicenda realmente accaduta, quella di una giovane donna la quale, uccisile padre e fratello per mano della mafia, si era tolta la vita in seguito alla morte del giudice Borsellino. In "Anna" il regista palermitano rimane fedele allo schema del film d'invenzione che prende le mosse da eclatanti fatti di cronaca. Anche qui l'omonima protagonista è infatti una giovane donna che vive un duplice conflitto: il primo contro una minaccia che proviene dall'esterno della propria cerchia familiare, il secondo determinato dall'ambiente gretto e retrivo col quale è suo malgrado costretta ad interagire. Anna è persona fuori dagli schemi, da qualsiasi angolo visuale la si consideri: perché si è lasciata alle spalle il matrimonio e la vita a Milano ed è tornata in Sardegna al piccolo podere del padre defunto, decisa a vivere di ciò che la terra può garantirle; perchè tanto le prime sequenze del film la mostrano a suo agio ballare circonfusa dalle luci e dalla martellante musica di un pub, quanto successivamente è immersa in perfetta simbiosi con l'ambiente, intenta a badare al suo gregge; perché non pone e non crede nella rigida distinzione dei ruoli sociali maschili e femminili.
Anna è dal punto di vista narrativo un'eroina sui generis in quanto va contro la morale comune: ricorre alla violenza verbale o al turpiloquio (in dialetto) quando si sente minacciata o qualcuno tenta di cucirle addosso modelli morali e comportamentali. Più nello specifico, quando una multinazionale transalpina ha iniziato a costruire un albergo nel terreno che il padre le ha lasciato in eredità, è in trincea per difendere i propri diritti. La sua quasi assoluta solitudine e l'indifferenza, mitigate unicamente dal volitivo avvocato che la sostiene, insieme al suo cozzare contro leggi fatte di carta ma prive del buon senso assimilano Anna a certi personaggi femminili del cinema iraniano di Asghar Farhadi, come "Una separazione" (2011).
Per quanto riguarda lo stile di regia, la macchina da presa è quasi costantemente mossa, ma in lunghi piani sequenza che non irrigidiscono i movimenti della protagonista entro schemi predeterminati, favorendo così la sua simbiosi con l'ambiente naturale. Inoltre, mentre la macchina da presa si allarga negli unici campi lunghi proprio per mostrarci la campagna e il mare, segue da presso la protagonista, facendocene vivere i sospiri, le ansie, i timori. Talvolta poi, quasi a suggerire un punto di vista alternativo alle vicende, l'inquadratura assume l'altezza delle capre, animali con i quali, non a caso, Anna condivide un'indole solitaria e cocciuta. Quello di Amenta è ovviamente anche un film denuncia che ha la giusta ambizione di gettare un sasso nello stagno dell'indifferenza di fronte al problema della cementificazione selvaggia, del deturpamento dell'ambiente, del tracollo di uno stile di vita arcaico e genuino a vantaggio uno moderno e speculativo. L'ingiustizia contro cui lotta la protagonista è una medaglia a facce: Anna si oppone alla cementificazione all'interno del suo terreno con la stessa audacia che l'ha resa refrattaria ai soprusi del marito. Sul piano strettamente visivo tale concetto è esemplificato dalla cicatrice che reca nel ventre, un parallelo iconico dei solchi impressi nel terreno dalle benne della multinazionale francese. Di più, la terra è madre e parte offesa, violata, non meno della protagonista.
Per quanto riguarda la fotografia, questa è coerente con lo scopo di mostrare la durezza, la purezza dei colori del mondo agreste: come in "Bentu" di Salvatore Mereu (2022), la luce del sole è sempre intensa, a tratti accecante e i toni della palette sono sempre accesi, lontani da un'oleografica rivisitazione bucolica. La notte è notte e il giorno è giorno. Sono semmai i fari dell'impresa a compromettere il ritmo circadiano di umani (Anna che non riesce a prender sonno) e animali (le capre che non danno più latte). In fatto di colonna sonora, infine, Marco Amenta opta per una scelta drastica, ma pagante: nell'intera pellicola non vi è quasi traccia di suoni extradiegetici, per cui, eccezion fatta per le musiche notturne che provengono dal pub e per il brano musicale originale "Wilderness" della sequenza finale, oltre al parlato, gli unici suoni che si percepiscono sono quelli delle campagne e del mare. Quale miglior modo per rendere il contrasto tra città e campagna? "Anna" è stato presentato all'80ª edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia per la Giornata degli Autori e ha ottenuto il premio Fedic.
cast:
Rose Aste, Daniele Monachella, Marco Zucca
regia:
Marco Amenta
titolo originale:
Anna
distribuzione:
Fandango Distribuzione
durata:
119'
produzione:
Eurofilm, Mact Productions, Videa Next Station, Inthelfilm, Rai Cinema, con il sostegno di Regione S
sceneggiatura:
Marco Amenta, Anna Mittone,Tania Pedroni
fotografia:
Giovanni C. Lorusso
montaggio:
Aline Hervé
costumi:
Salvatore Aresu
musiche:
Giulia Mazzoni, Julia Liros