"Ce ne sono milioni come me."
"No. Ce n'è uno solo"
Nel ventennio trascorso fra la scrittura del primo capitolo della saga di Harry Potter e quella della sua prima sceneggiatura originale J.K. Rowling ha assistito a considerevoli cambiamenti nella sua vita, passando da precaria poco più che nullatenente a celeberrima scrittrice milionaria. Se ciò è risaputo forse può essere minimamente più interessante far notare come sia mutato anche il suo approccio alla propria materia letteraria. Se difatti agli inizi era improntato alla conservazione dell'univocità (relativa, certo) del mondo da lei creato, anche mediante lo stretto controllo su tutte le propaggini cross-mediali derivate, negli ultimi anni si è mutato in una propositiva rielaborazione ed espansione di questo in nuovi media e contesti, prima con l'annunciata trilogia (ora pentalogia) di film e poi con l'opera teatrale "Harry Potter e la maledizione dell'erede" (vero e proprio seguito dei sette libri). Principio di realtà.
Ed è proprio quest'ultima ad emergere, occasionalmente, nel corso di "Animali fantastici e dove trovarli" piuttosto che un presunto stile della Rowling, "classicamente" invisibile così da non far quasi percepire la differenza con il precedente sceneggiatore Steve Kloves. Infatti, parzialmente memori del dittico finale dell'octalogia filmica (ma anche delle inclinazioni politiche della scrittrice), gli autori del film hanno optato per una più stretta aderenza a tematiche sociali e politiche, rendendo l'America del mondo magico il riflesso di quella "reale" degli anni '20, divisa fra progresso rampante e retaggi secolari e ancor più fra le varie etnie, ma in primo luogo percorsa da striscianti tensioni. Queste personificate nel film da una parte dal temuto mago Grindelwald (una sorta di fusione del mondo magico fra un WASP e un nazista) e dai suoi sostenitori e dall'altra da una piuttosto inverosimile lega di neo-cacciatori di streghe. Ancora una volta il cinema mainstream riflette sul proprio presente tanto quanto più si pone distante da esso.
D'altronde è di un film fantasy che si sta parlando e l'attesa dei tratti più tipici del genere, non ultimo un ricorso funzionale e al contempo meraviglioso alla computer grafica, viene pienamente ripagata dal film già dopo pochi minuti (basti pensare alle sequenze immediatamente successive all'arrivo del protagonista a New York). Se infatti la saga di "Harry Potter" si è spesso trovata a ricorrere in maniera relativamente moderata alla CGI, dovendo pagare dazio all'indiscutibile natura di coming-of-age che aveva via via assunto, "Animali fantastici" non si pone limiti nell'utilizzo di effetti speciali, conseguendo alcuni degli apici nell'utilizzo di questi degli ultimi anni. Difatti l'integrazione pressoché totale fra digitale e riprese dal "vero" e la possibilità di non limitarsi spingono il fantasy della Rowling verso vette mai raggiunte.
Quest'evoluzione giova anche alla precedentemente molto criticata regia di David Yates, la cui "nuova" mobilità, non sempre sensata in "The Legend of Tarzan", favorisce enormemente la ricostruzione dell'immaginifica New York degli anni 20 e ne sottolinea la componente fantastica in più occasioni. Al medesimo fine collaborano le mirabolanti scenografie dell'ormai aficionado (l'unico ormai ad aver più presenze del regista nella crew dei film del franchise) Stuart Craig, la fotografia (spesso fin troppo dicotomica) del francese Rousselot e i costumi della celebrata Colleen Atwood. Ma d'altronde ogni elemento del cast tecnico e artistico assolve il suo ruolo in maniera più o meno buona, dalla caratterizzazione stralunata (ma con tanti tic che sfiorano la maniera) del protagonista Redmayne a quella dei personaggi secondari, limitati tutti o quasi dal trattamento fin troppo steretipico. Non che questo sminuisca la discreta sceneggiatura dell'autrice britannica, puntante, come tutta la manovalanza, a valorizzare ciò che è l'effettivo nucleo di "Animali fantastici e dove trovarli": la meraviglia, conseguita, ovviamente, mediante gli effetti speciali.
Si badi che ciò non significa sminuire il film secondo una certa retorica, quanto constatare l'enorme rilevanza che la CG riveste nella totalità dell'opera e quanto solo una volta compreso il valore di essa si possa valutare in maniera almeno un po' credibile "Animali fantastici". Difatti questo compie il simbolico passo avanti e, non più frenato da necessità di sceneggiatura, si affida quasi totalmente alla meraviglia generata dai computer, dimostrando quanto in fin dei conti essa sia la più grande magia. La lunga sequenza prefinale della ricostruzione facilmente può significare ciò. Ma i dubbi paiono meno legittimi quando un'apparizione inattesa nel medesimo segmento del film, seppur anticipata da pochi altri ragionati utilizzi delle facoltà illusionistiche della macchina da presa e del cinema in generale, rivela quanto l'opera di Yates e Rowling sia uno dei più appassionati omaggi alla magia (anche quella del cinema) degli ultimi tempi, con i mezzi dei tempi. E mentre un (doppio) finale più agrodolce e aperto del previsto mostra quanto il tutto non si risolva in un vano gioco totalmente autoreferenziale si può affermare che difficilmente il ritorno nel mondo della scrittrice inglese sarebbe potuto essere più riuscito. E che quel bambino che 15 anni or sono fu cinematograficamente svezzato da "Harry Potter" non può che constatare felicemente che quella magia non svanisce. Si adegua.
cast:
Eddie Redmayne, Katherine Waterston, Dan Fogler, Colin Farell, Alison Sudol, Ezra Miller, Samantha Morton, Jon Voight, Carmen Ejogo
regia:
David Yates
titolo originale:
Fantastic Beasts and Where to Find Them
distribuzione:
Warner Bros.
durata:
133'
produzione:
Heyday Films
sceneggiatura:
J.K. Rowling
fotografia:
Philippe Rousselot
scenografie:
Stuart Craig
montaggio:
Mark Day
costumi:
Colleen Atwood
musiche:
James Newton Howard