"Tarzan, eh ? Credevo suonasse in maniera diversa."
Si direbbe che i cinque anni di mancata (quasi) occupazione non abbiano giovato a David Yates, il più impersonale dei cineasti trovatisi a dirigere i capitoli della saga di "Harry Potter" e guarda caso director di ben metà della saga. Evidentemente il regista britannico è oramai divenuto un uomo di fiducia della Warner Bros, tanto da farsi affidare due delle sue più corpose produzioni degli ultimi anni, lo spin-off della "saga del maghetto", in uscita a Novembre, e appunto il qui presente film. E se il rischio flop è dietro l'angolo, data anche la palese indefinitezza di un preciso target per la suddetta pellicola, vi sono ben altre e più profonde ragioni che squalificano realmente il ritorno al cinema dell'inglese.
"The Legend of Tarzan" è difatti uno di quei film, sempre più frequenti nel panorama mainstream, che risultano sbagliati fin dalla concezione, forse perché passati per troppe mani e per troppo tempo (il primo progetto, nello specifico, risale al 2003 e la sceneggiatura pare fosse pronta già quattro anni fa), forse perché tentanti di inseguire i gusti di un pubblico sempre più variegato e selettivo, in una realtà sempre più complessa e sfaccettata, ricorrendo sempre alle medesime convenzioni. L'opera di Yates infatti parte con un'introduzione storica che, nonostante la ricomparsa della tematica nel corso dello sviluppo, sottrae indiscutibilmente la pellicola all'ambito del mito e la getta in una realtà storicamente e geograficamente ben definita, in cui l'epopea dell'"uomo-scimmia" si dimostra da subito poco credibile e incoerente (vedasi la a dir poco inverosimile parte finale). Non contenti Yates e la coppia di sceneggiatori calcano la mano e trasformano il ritorno di Lord Greystoke in Africa in un "ritorno alla Natura" ed una parabola anticolonialista ante litteram, esplicitando la natura politicamente corretta e perciò antistorica dell'intera operazione.
Le parentesi intimiste e sentimentali, i numerosi e generalmente superflui flashback e i (pochi) siparietti comici non fanno altro che rendere il pastiche che "The Legend of Tarzan" diviene ancora più confusionario e privarlo della sua natura puramente avventurosa senza compensarla con nulla di definito e valido. Essendo la creazione di Burroughs qualcosa di già a suo modo "postmoderno" per il modo quasi casuale con cui mescolava decenni di letteratura d'avventura europea e vari miti sull'Africa questa scelta non aggiunge quasi nulla al film, ad eccezione della già citata componente politica all'insegna del semplicismo e di una sorta di blando (pseudo)femminismo, esemplificato dalla figura della sempre (troppo) attraente Margot Robbie. Di certo se si dovesse squalificare il film per i suoi frequenti casi di miscasting non si potrebbe fare a meno che citare il ben poco animalesco protagonista maschile, il buddy, ovviamente nero (lode all'antirazzismo), Samuel L. Jackson e Christoph Waltz, sempre più schiavo del suo istrionismo e della monotonia degli sceneggiatori.
Ma, come si era detto, sta altrove il vero "cuore di tenebra" dell'opera, per citare il libro che fu sicuramente fra le principali fonti d'ispirazione dello scrittore americano e la di cui creazione è forse una sorta di "risposta" ben più ingenua e aproblematica. Difatti esso sta nella contraddizione che da sempre anima la civiltà occidentale e ha nel "mito del buon selvaggio" (di cui Tarzan è solamente un'attualizzazione primo-novecentesca) la sua interpretazione positiva e piuttosto semplicistica. Interpretazione che è per l'appunto la prospettiva scelta in "The Legend of Tarzan" e che condanna un'opera che si bea della propria (apparente) complessità narrativa e della sua supposta ricchezza di tematiche ad essere invece nulla più che un pamphlet senza ragione d'essere, un film d'azione in cui il vorticare della mdp paradossalmente inibisce quasi ogni dinamismo, un dramma storico senza vera tragicità (per non parlare dell'attendibilità storica), se non quella della propria insensatezza. In sostanza, se David Yates ha dimostrato di sapersela cavare discretamente col "mito" moderno, si è rivelato essere assolutamente inadeguato per quello passato. Non ci si può che augurare che il ritorno ad Hogwarts (o, a questo giro, Ilvermorny) sia ben più lieto.
cast:
Alexander Skarsgård, Margot Robbie, Samuel L. Jackson, Djimon Hounsou, Christoph Waltz
regia:
David Yates
distribuzione:
Warner Bros.
durata:
110'
produzione:
Village Roadshow Pictures, Dark Horse Entertainment, Jerry Weintraub Productions, Riche Productions
sceneggiatura:
Craig Brewer, Adam Cozad
fotografia:
Henry Braham
scenografie:
Stuart Craig
montaggio:
Mark Day
costumi:
Ruth Myers
musiche:
Rupert Gregson-Williams