Entrata nel vivo della sue proiezioni, la settantesima edizione del Festival di Locarno tiene finalmente a battesimo il primo titolo italiano con una scelta che, a ben vedere, può dirsi rappresentativa del mainstream nazionale. In quanto commedia, "Amori che non sanno stare al mondo" appartiene di diritto al genere più frequentato dalla nostra cinematografia, perfettamente in linea con il tipo di prodotto che in termini quantitativi fa segnare il numero più alto di biglietti staccati. Il che porta a due annotazioni che si accompagnano alla sfida che il lungometraggio della Comencini accoglieva presentandosi a una platea esigente come quella di Locarno. La prima riguardava la possibilità di smentita rispetto a una qualità - quella della commedia italiana - quasi sempre sacrificata al raggiungimento della popolarità, mentre la seconda andava a toccare gli aspetti relativi ai contenuti e alla messinscena, normalmente appiattiti su soluzioni poco rischiose e fabbricate in serie dal regista di turno.
Derivato - come spesso succede in "casa" Comencini - dalle pagine dell'omonimo romanzo firmato dalla stessa autrice, "Amori che non sanno stare al mondo" aveva come postulato artistico lo sguardo di una regista eclettica (avendo realizzato per il cinema e la televisione lungometraggi più o meno impegnati - da "Carlo Giuliani: ragazzo" a "Mi piace lavorare -Mobbing") ma per la prima volta alle prese con un soggetto che, almeno sulla carta, aveva in dote una leggerezza e una fruibilità sconosciute al suo cinema. L'originalità del connubio presentava in effetti qualche rischio in termini di incompatibilità ma, d'altro canto, portava con sé la possibilità di scelte operate con criteri di discontinuità rispetto alla medietà dei prodotti similari. In questo senso ci si accorge che, alla riconoscibilità dei temi proposti da "Amori che non sanno stare al mondo", riassumibili nella guerra dei sessi, scaturita dal conflitto di una coppia che si ritrova ad analizzare le cause della propria separazione, ce ne sono altri, non per forza relativi ai contenuti, i quali, a tutti gli effetti, differiscono da ciò che siamo abituati a vedere su queste latitudini. Primo fra tutti la scelta degli attori protagonisti riconducibile a una fisiognomica e a un immaginario che, per quanto riguarda Lucia Mascino e Thomas Trabacchi, non erano mai stati testati in un film di prima fascia. Inoltre, c'è da registrare l'efficacia del casting (anche per ciò che riguarda i ruoli secondari) e, soprattutto, la resa degli attori, con la Comencini brava a giocare sulle differenza fisiche e interpretative della Mascino e di Trabacchi, qui utilizzate per portare a galla le divergenze emotive e psicologiche dei loro personaggi. E, quindi, a mettere in contrasto la verve estroversa e impetuosa della Mascino con i mezzi toni e la timidezza caratteriale che invece sembra essere il tratto comune a molti dei tipi umani interpretati da Trabacchi, e, nella fattispecie, del professore universitario a cui dà vita in questa pellicola. In seconda istanza, invece, fa piacere ritrovare - com'era già successo ne "Lo spazio bianco" e in "Mi piace lavorare (Mobbing)" - un'attenzione non scontata nella scelta degli ambienti, prelevati per lo più dal contesto universitario in cui lavorano Claudia e Flavio e filmati dalla Comencini in maniera neutra e atemporale, segnalando una valenza di non-luogo che fa il paio con la dimensione psico-narrativa della storia; un vero e proprio flusso di coscienza che si realizza grazie a un montaggio che allinea le discontinuità spazio-temporali, riuscendo a stare dietro al saliscendi di uno spartito drammaturgico capace di passare in rassegna l'intero spettro emotivo. Una struttura, questa, che giustifica l'assenza di riferimenti alla realtà del paese, esiliati dalla necessità della storia di mantenersi attaccata all'urgenza emotiva dei personaggi, legittimando la presenza di inserti dal taglio onirico e surreale (su tutti la lezione in bianco e nero sulla "matematica" del corpo femminile), per non dire delle citazioni alleniane (a sua volta prese in prestito da Bergman) presenti nella sequenza in cui il fantasma di Claudia si ritrova nella casa di Pietro per commentare (con effetti esilaranti) il suo ménage con una ragazza molto più giovane di lui. Una complessità che la Comencini è brava a mascherare sotto una narrazione fluida e accattivante, capace di guardare con ironia non solo alla compagine maschile (come sempre irrisolta) ma anche in casa propria, tratteggiando con ironia e spirito critico i segni di un femminismo che nel cinema della regista occupa sempre un posto di rilievo.
Al pubblico italiano che presto avrà l'opportunità di andarlo a vedere consigliamo di non perderlo, suggerendogli di fare attenzione a Trabacchi e alla Mascino, perché da soli e in compagnia danno filo da torcere a molti dei loro colleghi.
cast:
Lucia Mascino, Thomas Trabacchi, Carlotta Natoli
regia:
Francesca Comencini
distribuzione:
Warner Bros. Pictures
durata:
92'
produzione:
Fandango, Rai Cinema
sceneggiatura:
Francesca Comencini, Laura Paolucci, Francesca Manieri
fotografia:
Valerio Azzali
scenografie:
Paola Riviello
montaggio:
Ilaria Fraioli
costumi:
Veronica Fragola
musiche:
Valerio Vigliar