Fatima e Zahra, due giovani gemelle afghane che vivono in Iran, tentano insieme alla madre di raggiungere clandestinamente l’Europa. Ma prima della frontiera turca vengono separate dalla madre che, a differenza delle due figlie, riesce ad arrivare fino in Olanda. Il film di Mijike de Jong è tutto nel racconto dei ripetuti tentativi di ricongiungimento familiare, anzi nasce proprio – almeno dal punto di vista progettuale - nel contesto che ne sostanzierà la trama. Nell’incipit, infatti, le due sorelle dichiarano di voler documentare con un film la loro esperienza.
A questo punto, il film stesso si diparte in due linee narrative: quello di finzione, che ricostruisce le peripezie delle protagoniste, e quello più marcatamente documentaristico che consiste nelle dichiarazioni rilasciate dalle compagne di viaggio cui, inaspettatamente, viene offerta l’occasione per raccontarsi. È l’interno di una delle tante tende che accolgono i migranti a Moria a diventare così un set improvvisato. Il colore della tenda è azzurro e viene da supporre che possa essere ricondotta a quelle fornite dall’UNHCR. Ma in questo film, che sa di genuina improvvisazione e onestà di intenti, non c’è spazio per organizzazioni, associazioni o autorità che possano rappresentare un’ancora di salvataggio agli occhi di chi deve attraversare tutta l’Europa; così come non c'è neanche un punto di vista alternativo a quello dei migranti. Lo spettatore riceve perciò una sensazione di immersione nella realtà piuttosto forte; le parole delle migranti fanno il resto. Il campionario delle casistiche è appena adombrato, ma sufficiente a costituire, rispetto all’altra linea narrativa, una sorta di completamento ideale. C’è chi parla di un’infanzia mai assaporata, chi ha subito uno stupro, chi già in patria viveva realtà troppo difficili per non tentare di lasciarsele alle spalle, o chi, dopo tre respingimenti, cerca ancora di varcare il confine. Lasciando fuori campo la realtà nella quale si è giunte, grazie alla macchina da presa rigorosamente fissa e in posizione frontale, il film recupera una dimensione intima, diaristica, strettamente personale. Dimensione che fidelizza lo spettatore non meno dei commenti della voce narrante in documentari quali "Flee" (2021), impegnata a contrappuntare, a raccordare le immagini al giudizio. Sotto questo aspetto, lo stile del lavoro di Mijke de Jong è assai più vicino a "Fuocoammare" (2016) di Francesco Rosi.
Per quanto riguarda la linea narrativa finzionale, realizzata anch’essa con pochi mezzi, si concentra sulle due gemelle e, nonostante la comunione di intenti, grazie alla diversità dei due caratteri offre uno spaccato non univoco delle soluzioni alle difficoltà sottese alla condizione dei migranti. Ciò comporta a sua volta l’apertura di un ulteriore ventaglio di interrogativi. Socializzare con chi di fatto ha favorito il passaggio del confine, familiarizzarci anche nelle tappe intermedie e diventare a sua volta una che (dietro compenso) aiuta altri migranti a raggiungere la Grecia in modo da ottenere poi per sé il danaro necessario per fare altrettanto: tutto questo fino a che punto è moralmente ammissibile? In tale contesto, qual è il confine tra migrante e trafficante? Domande. Tacite domande suggerite allo spettatore.
Certo è che, comunque, rispetto a pellicole incentrate sulle tematiche migratorie nelle quali il focus è eccessivamente e quasi narcisisticamente puntato sul soccorritore, come accade in "Open Arms – La legge del mare", il film di Mijike De Jong è decisamente più rotondo. L’alternarsi della linea narrativa finzionale e di quella strettamente documentaria non compromette affatto l’immersione e il coinvolgimento dello spettatore nella vicenda. Vi sono infatti sequenze, come quelle dell’incontro con i familiari all’aeroporto di Atene, in cui anche il distacco che deve accompagnare una visione critica del film viene messo decisamente alla prova. L’odissea delle protagoniste dura da cinque anni e la conclusione è ancora di là da venire. Non è dato sapere se il loro sogno espresso nel film, quello di lavorare nel campo del cinema, potrà un giorno concretizzarsi; certo è che "Along the way" entra meritatamente nel novero delle pellicole che con asciuttezza e originalità hanno saputo narrare il fenomeno migratorio.
cast:
Nahid Rezaie, Malihe Rezaie, Sina Nazari
regia:
Mijke de Jong
titolo originale:
Along the Way
distribuzione:
September Film Distribution
durata:
80'
sceneggiatura:
Mijke de Jong, Jan Eilander, Jolein Laarman
fotografia:
Ton Peters
montaggio:
Dorith Vinken
musiche:
Rui Reis Maia