Il 1982 è un anno importante per la carriera di Glenn Close. Ottiene la prima nomination all'Oscar per "Il mondo secondo Garp" di George Roy Hill (tra l'altro il suo primo ruolo cinematografico) e vince il premio Obie (il massimo riconoscimento per le produzioni teatrali off-broadway) con "The Singular Life of Albert Nobbs" di Simone Benmoussa, spettacolo tratto da una novella dello scrittore naturalista irlandese George Moore, sulla vita di una donna che nella Dublino di fine ottocento si finge uomo per meglio riuscire a guadagnarsi da vivere e soprattutto lasciarsi alle spalle una vita fatta di violenze e soprusi.
Pare che la Close abbia per anni tentato di portare al cinema questa storia e questo personaggio, riuscendoci però solo quest'anno, grazie ad un film che per lei costituisce il ritorno sul grande schermo in un ruolo da protagonista dopo alcuni anni di lavoro soprattutto televisivo, ma anche un passion project in cui l'attrice ha investito tantissimo. Infatti di "Albert Nobbs", oltre che protagonista, è coproduttrice, cosceneggiatrice (firma infatti l'adattamento insieme all'ungherese Gabriella Prekop e al noto scrittore irlandese John Banville, debitori anche di un trattamento curato da István Szabó, che inizialmente avrebbe dovuto occuparsi della regia) e ha persino scritto il testo della canzone "Lay Your Head Down", cantata da Sinéad O'Connor sui titoli di coda.
Tanto sforzo tuttavia ha finito col dare risultati altalenanti: il film, alla fine diretto dal figlio d'arte Rodrigo Garcia (suo padre è il grande Gabriel Garcia Marquez) che aveva già diretto la Close in precedenti occasioni, non è stato ben accolto dalla critica. La protagonista-mattatrice invece è stata molto elogiata e grazie al personaggio di Albert ha avuto una nuova candidatura all'Oscar, la sesta della sua carriera, la prima dai tempi delle sue acclamate performance anni ottanta per film come "Attrazione Fatale" e "Le relazioni pericolose" e, come in quegli anni, Glenn contenderà la statuetta all'amica-rivale Meryl Streep, in corsa invece con "The Iron Lady".
Cameriere in un grande albergo della capitale irlandese, Albert è un tipo di poche parole, svolge il suo lavoro in maniera impeccabile ma neanche le altre persone a servizio (un gruppo prevedibilmente eterogeneo) possono dire di conoscerlo bene. Sembra che l'albergo corrisponda a tutto il mondo di Albert, dato che nella prima parte del film non lo vediamo mai neanche uscire. La sua vita tranquilla e anodina, viene sconvolta dall'arrivo nell'albergo di Hubert Page, un pittore col quale Albert è costretto a dividere la stanza. Hubert scopre quasi subito che Albert in realtà è una donna ma questo incontro che potrebbe costituire una minaccia per Albert (e all'inizio in effetti lo considera tale), in verità si rivela inaspettatamente positivo. Infatti, anche Hubert è una donna che si finge uomo, proprio come Albert. Finalmente qualcuno con cui parlare, condividere ricordi ed esperienze (quasi sempre grame) e al quale confessare sogni e speranze. Sì, perché Albert ha un progetto: sta risparmiando fino all'ultimo scellino per avere abbastanza denaro per poter rilevare un'attività commerciale da gestire possibilmente insieme ad una compagna, seguendo appunto l'esempio incoraggiante di Hubert, che dopo essere stata la moglie maltrattata di un imbianchino, ha cambiato vita ed è felicemente accompagnata ad una simpatica sarta. Albert spera di poter fare altrettanto e, magari vincendo un po' la sua timidezza, dichiarare i suoi sentimenti alla cameriera Ellen, interpretata da Mia Wasikowska, che dopo le prove in "Jane Eyre", "I ragazzi stanno bene" e "L'amore che resta", si conferma una delle giovani attrici più richieste; ma certo vedere la la ventiduenne australiana flirtare sullo schermo con la sessantenne Close produce uno strano effetto, nonostante il make up cerchi di mascherare la differenza d'età fra le due.
"Albert Nobbs" è uno di quei film che avresti voluto apprezzare di più di quanto non sia stato possibile. Innanzitutto perché permette di ammirare a fianco della protagonista attori validi come Brendan Gleeson (il dottore bonario e alcolizzato che rappresenta l'unico personaggio maschile veramente positivo nella vicenda), Maria Doyle Kennedy (la cameriera segretamente legata al medico) e il premio Oscar Brenda Fricker (la saggia cuoca corpulenta dell'hotel); anche se i momenti migliori del film sono di sicuro quelli fra la Close e la straordinaria Janet McTeer, nelle vesti del signor Page, anche lei giustamente in corsa per l'Oscar. Durante i loro confronti, franchi e dolci, "Albert Nobbs" diventa un film degno di nota, perché ti ricorda che se la condizione femminile non è mai stata particolarmente facile, quella delle donne che facevano scelte di vita diverse era infinitamente più difficile, specie se queste non avevano alle spalle una famiglia benestante o grandi sostanze. Come dimostra il personaggio dell'aristocratico omosessuale interpretato da Jonathan Rhys-Meyer, per un uomo vivere la propria diversità è stato sempre relativamente più facile. Sono molti i film a tematica gay che vengono realizzati ma ancora pochi quelli di ambientazione storica con protagoniste femminili, quindi ben vengano storie toccanti come quella di Albert Nobbs.
Sfortunatamente Rodrigo Garcia è, sì, un buon direttore di attori ma anche un illustratore abbastanza convenzionale, quindi il film, pur essendo figurativamente corretto, finisce per risultare decisamente più banale della storia che racconta. Ed è un vero peccato che soggetti così interessanti e attrici così prestigiose non riescano ad attirare l'attenzione di registi più validi che potrebbero col loro talento e qualche guizzo in più realizzare film decisamente più all'altezza delle aspettative.
cast:
Glenn Close, Mia Wasikowska, Aaron Johnson, Janet McTeer, Jonathan Rhys-Meyers
regia:
Rodrigo Garcia
titolo originale:
Albert Nobbs
distribuzione:
Videa CDE
durata:
113'
produzione:
Chrysalis Films, Mockingbird Pictures, Parallel Film Productions, WestEnd Films
sceneggiatura:
Glenn Close, John Banville
fotografia:
Michael McDonough
scenografie:
Patrizia von Brandenstein
montaggio:
Steven Weisberg
costumi:
Pierre-Yves Gayraud
musiche:
Brian Byrne