Aveva preteso che fossero interpretate da attori in carne ed ossa Tim Burton. Stiamo parlando delle scimmie nel suo remake del 2001 del classico della fantascienza di Franklin J. Schaffner datato 1968. L'autore di "Edward mani di forbice", "
Big Fish" e dei primi due "Batman" voleva conservare l'elemento umano, facendo interpretare i suoi primati ad un cast di nomi eccellenti capitanato da Tim Roth e Paul Giamatti, preferendo affidarsi al prodigioso make up di Rick Baker piuttosto che ai maghi della Cgi che avrebbero potuto creare tutto al computer.
Dieci anni dopo, con questa sorta di
prequel (del film del 1968 e della versione targata Tim Burton)-
remake (del quarto film della serie "1999: conquista della Terra" del 1972)-
reboot (che apre le porte ad una possibile nuova lucrativa franchise, e già si parla di trilogia) il nodo di fondo resta il medesimo. Preservare l'umanità dei primati in un mondo digitale. La scelta operata dall'emergente regista Ruper Wyatt, con l'ausilio dei prodigiosi tecnici della neozelandese Weta (già dietro gli effetti visivi di "
Avatar") prosegue lungo la strada inaugurata da Zemeckis e il "suo"
performance capture. Ossia catturare i movimenti di un vero attore (in questo caso l'ormai rodato, e bravissimo, Andy Serkis, che già si celava dietro le interpretazioni dei Jacksoniani Gollum e King Kong) e riplasmarli in computer graphic, in modo da eliminare i limiti dell'interpretazione "fisica". Una tecnica ormai sempre più utilizzata nel cinema
mainstream (dal già citato "Avatar" al sorprendente cartoon "
Rango") che trasmette alle creature digitali in azione sullo schermo un'inusuale sensazione di realismo e umanità. In questo modo anche Tim Burton può dormire sereno: il carico emozionale di questo nuovo "Pianeta delle scimmie" è sobbarcato interamente dai primati digitali, mentre il cast, incolore, di umani, è messo in secondo piano, volutamente, forse, poco sfumato. Forse una maniera, per quanto ambigua o involontaria, per sancire il definitivo predominio del bit sopra l'umano. Come i Wachowski in "Matrix", Wyatt mette in scena una rivoluzione antitecnocratica (la natura che si ribella agli esperimenti dell'uomo, un tema vecchio come il mondo) utilizzando tutte le risorse del mondo digitale che finge di ripudiare.
Rispetto ai precedenti film della serie qui c'è uno spostamento di prospettiva di importanza non sottovalutabile: per la prima volta il pubblico tifa per "i cattivi" scimpanzé, e l'imminente catastrofe giunge come una giusta piaga nei confronti di un'umanità che ha perso i propri principi. Tutto questo all'interno di un solido prodotto d'
entertainment che a dispetto dell'avanguardistica tecnica guarda al passato con la sua prevedibile, ma solida, struttura narrativa. Di film che parlano di medici che giocano a fare Dio, dei labili confini tra uomo e bestia o del rapporto tra gli scienziati e le loro cavie ne è piena la storia del cinema (basterebbe ricordare il recente "
Splice" o "Monkey Shines" di Romero), ma Wyatt dirige con polso bilanciando attentamente i risvolti psicologici della prima parte, e momenti apertamente spettacolari (come la battaglia finale sul Golden Gate di San Francisco) in cui dimostra pure un'interessante predisposizione per le sequenze dinamiche, quasi tutte sviluppate su lunghi piani sequenza (basti pensare alla scalata della sequoia da parte di Cesare, che contrappunta, attraverso netti cambi cromatici, la sua crescita ed evoluzione).
I cliché non pesano così eccessivamente, ravvivati in continuazione da belle idee visive e puntuali citazioni (vengono menzionati due astronauti scomparsi durante una spedizione spaziale, ovvio riferimento ai protagonisti dell'originale "Pianeta delle scimmie", che viaggeranno nel tempo, in un futuro dominato dai primati, ma nella battaglia sul ponte si cita anche il bus crivellato dai proiettili de "L'uomo nel mirino" di Eastwood), e Wyatt, pur consapevole di aver a che fare con un costoso giocattolone, è attento a mantenere in primo piano le emozioni del primate Cesare e la sua lenta presa di coscienza. Insomma, ci si diverte ed emoziona, e se davvero di
reboot trattasi, allora la serie non poteva contare su riavvio più riuscito.