L’opera prima del giovane anglo-pakistano Aleem Khan, presentata alla Semaine de la Critique di Cannes nel 2020 e coraggiosamente, lodevolmente distribuita in Italia due anni più tardi dalla Teodora, racchiude molte soprese.
La prima, visivamente più manifesta, è quella di un cinema semplice, votato alla scarna solidità delle immagini, a una regia essenziale e a una recitazione da camera che predilige a tratti il silenzio alle parole. Eppure, ed è qui il fattore interessante, è un cinema che è in grado di sprigionare una carica emotiva e sensoriale tutt’altro che elementare e che si sviluppa in una multiforme componente di scrittura che dal primitivo si dirama a una storia di ampio respiro.
La seconda sorpresa, conseguente alla prima, si focalizza sulla purezza del racconto. After Love è una storia d’amore così dominante da relegare in secondo piano le molteplici, secondarie, chiavi di lettura intrinsecamente legate al contesto di scrittura come il tradimento e il perdono, la fede musulmana, l’identità e l’inclusione sociale. Argomenti imprescindibili del racconto ma oculatamente sempre ben tenuti equidistanti da quello seminale di amore.
Nel piano sequenza che apre il film scopriamo la terza sorpresa, in realtà la prima del racconto. Mary Hussain rimane improvvisamente vedova del marito Ahmed. Le bianche scogliere di Dover dove vive richiamano al suo lutto, al suo vestito interamente bianco da cui erge il volto lacerato di una superba Joanna Scanlan. Il dolore è insopportabile se legato al fatto che Mary aveva già perduto suo figlio in tenerissima età. Così, nel più classico dei McGuffin hitchcockiani, ecco sopraggiungere una tessera intestata a una donna francese rinvenuta nel portafogli del marito. E poi a seguire delle chat clandestine. Al dolore acuito dalla perdita del marito piomba di sorpresa (l’ennesima) il dubbio atroce di una identità perduta, di una vita cucita su misura per Ahmed e che improvvisamente vede franare dinnanzi ai suoi occhi come una intera scogliera della sua Dover.
Nella seconda parte di pellicola, quella del viaggio a Calais, Khan tralascia negli occhi della protagonista qualsiasi emozione che possa presagire alla resipiscenza di un tradimento o a una speranza di perdono. Esclude cioè che le emozioni della protagonista seguano il confluire della linea narrativa. Gli occhi e lo sguardo di Mary permangono focalizzati sul dolore interiore soffocato a stento, su un amore che non svanisce, anzi sembra quasi autoalimentarsi mediante la preghiera in Allah. L’incontro e il rapporto instaurato con Genevieve, allacciato mediante un escamotage narrativo, la mettono di fronte ad altre rivelazioni: la consapevolizzano sul fatto che Ahmed vivesse una vita parallela in Francia con tanto di figlio adolescente di nome Solomon, la destabilizzano anche in ottica di fede quando vede Ahmed in un filmino tenere una bottiglia di birra in mano, il figlio omosessuale strusciarsi fervidamente con un suo coetaneo. Lei stessa che nella sua ultima confessione al marito aveva destato decisamente il suo turbamento per il rito dell’Aqīqa (la lametta che va a tagliare i capelli del neonato dopo sette giorni in cambio di un sacrificio animale). Anche a Calais, più che mai, la vita di Mary è figuralmente quella di una crepa sul muro che tende a crescere esponenzialmente sotto ai suoi occhi.
In una delle sequenze più belle del film Mary è costretta a osservare, non senza afflizione, i dettagli del suo imponente corpo allo specchio, ad assimilare la differenza in termini di accezione estetica con Genevieve. È una dicotomia quella tra le due donne resa esplicita dalla difficoltà di comunicazione e integrazione a causa delle molteplici lingue in ballo oltre che dalle abissali differenze in termini di cultura. L’unico punto in comune per entrambe sembra essere il mare, quello che paradossalmente separa le due donne ma che figuralmente viene incarnato dal fantasma di Ahmed, quando Mary si lascia abbandonare, quasi abbracciare dalle onde mentre è supina in acqua.
Nella terza e ultima parte ambientata a Dover, che non andremo a rivelare, il filo conduttore è sempre solo uno, l’amore. Khan, come anticipato in apertura, non può esimersi dallo scoperchiare i temi densissimi che avvolgono il film. Eppure sembra osservali a debita distanza, preferisce rimanere ancorato alle emozioni e allo stato d’animo della donna protagonista, come se discostandosene perdesse l’orientamento. Il personaggio di Mary è fonte vitale nel concepimento dell’opera visti i numerosi punti di contatto con la biografia del regista (Bergman docet). È questa la sorpresa delle sorprese di After Love: il racconto di un giovane autore che, al netto dei cruciali, densi temi intercorsi, rimane con lo sguardo fedele e coerente dalla prima all’ultima inquadratura. Lo sguardo autentico dell’amore che non conosce confini e che resta intatto anche dopo l’amore.
cast:
Joanna Scanlan, Nathalie Richard, Talid Ariss, Nasser Memarzia
regia:
Aleem Khan
distribuzione:
Teodora Film
durata:
89'
produzione:
The Bureau, BBC Films
sceneggiatura:
Aleem Khan
fotografia:
Alexander Dynan
montaggio:
Gareth C. Scales
musiche:
Chris Roe