Nel cinema che fu, soprattutto quello italiano degli anni 50 e 60, il film a episodi, che richiamava le firme di alcuni dei più grandi autori in circolazione, era una istituzione. Progetti tenuti insieme quasi sempre grazie alla volontà dei più potenti tra i distributori, certo, ma era altrettanto decisiva la stima - quando non l'amicizia - che intercorreva tra i vari cineasti coinvolti nella realizzazione del film di turno. Già all'epoca, però, pur potendo contare su nomi di primo piano, i risultati alterni erano nell'ordine delle cose e raramente ciò che ne veniva fuori aveva una compattezza e un equilibrio degno delle migliori cause.
Scemata man mano, la presenza dei film collettivi ad episodi, è riemersa sul mercato internazionale grazie ai proponimenti di tenaci produttori (quasi sempre europei). A volte per dare risalto a cause umanitarie, altre volte per promuovere anniversari di rilievo, altre volte ancora per fini commerciali governati da facoltosi sponsor. Certo è che, ormai, questi film passano puntualmente sotto silenzio tanto che in Italia, per rendere l'idea, restano il più delle volte inediti in sala.
"7 Days in Havana" nasce dall' unione di marchi aziendali (Havana Club International è un'azienda franco-cubana che deve il suo successo alle sue origini autenticamente cubane e all'indiscussa qualità dei suoi rum, tutti invecchiati) e case di distribuzioni cinematografiche indipendenti.
Il film prende forma dalla penna di Leonardo Padura, romanziere cubano che ha coordinato le sceneggiature dei vari corti nati, per l'appunto, da suoi racconti.
L'idea era quella di radunare sette registi internazionali per una fotografia l'Havana nel 2011. Un ritratto dunque contemporaneo ed eclettico che si propone di discostarsi dai clichè turistici per toccare invece la vera anima stratificata di questo magico luogo.
Alcuni degli episodi si svolgono negli stessi luoghi celebri dell'Havana, come la spiaggia o l'Hotel Nacional. Alcuni personaggi compaiono in più di una storia - ad esempio prima come protagonisti, poi, come semplici comparse, o viceversa - congiungendo il tessuto narrativo e mostrando una continuità tra i vari ambienti sociali, disegno di un universo variegato ma inscindibile.
Nonostante la ovvia alternanza di risultati interni, il risultato finale è comunque deludente e riassumibile, tappa per tappa, in poche battute che seguono.
1) Lunedì. Presentato come il debutto dietro la macchina da presa del portoricano - ma da tempo ormai star hollywoodiana - Benicio del Toro, che in realtà diresse un invisibile cortometraggio nel 1995, "El Yuma" può essere preso come una parabola autobiografica ma improbabile (uno statunitense va a studiare cinema a Cuba?), dove Del Toro si identifica con lo sguardo puro del suo giovane protagonista: i passi che muove il ragazzo percorrono orme che l'attore lasciò quando intraprese nell'allora ignoto e sognato mondo dorato di Hollywood. Scorribanda veloce (è l'episodio più spigliato), acerba e già vista, ma anche vitale e di una schiettezza non sempre riscontrabile nei successivi episodi. Voto: 6 -
2) Martedì. Con "Jam Session" l'argentino Pablo Trapero - dall'esordio di "Mondo Grua" al recente "Elefante Blanco": cantore di contemporanee storie del proletariato di casa propria - si mette completamente al servizio del regista jugoslavo Emir Kusturica. L'autore di "Underground" rinuncia alla regia dell'episodio per smussare l'inevitabile parzialità e viene pedinato dalla macchina da presa di Trapero. Ne viene fuori un documento di una sincerità quasi autolesionista: Kusturica ne esce come gran bevitore, narcisista ma anche capace di ammettere invidia nei confronti del trombettista Alexander Abreu. Un atto di ammissione per il musicista che lui non sarà mai. Voto: 6,5
3) Mercoledì. "La tentaciòn de Cècilia" è l'episodio più scontato del blocco perché vi si ritrovano tutti gli elementi che hanno reso celebre il (mediocre) cinema di Julio Medem. Erotismo all'acqua di rose (ma qui non c'è Paz Vega a garantire sensualità), trasgressione che si limita a poco naturali accoppiamenti selvaggi, la consueta doccia, intreccio da fotoromanzo (il presunto finale amaro non basta), ralenti che fanno il verso a Wong Kar-wai e colonna sonora lagnosa. Voto: 4
4) Giovedì. "Diary of a beginner" di Elia Suleiman è senza alcun dubbio il miglior corto del film. L'autore palestinese non tradisce nemmeno di un millimetro le scelte stilistiche e lo spirito che lo contraddistinguono. Sguardo composito, inquadrature fisse di rara perfezione geometrica, campi e controcampi tra sguardo impassibile e civiltà in decadenza. Lo sguardo di Suleiman è davvero l'unico che non cerca una immedesimazione nel territorio esplorato, ma sottolinea la presenza dello straniero/ ufo che sonda un territorio spiritualmente più povero del previsto: i contrappunti con i discorsi di Fidel Castro suonano amari e beffardi. Straordinari sia i fotogrammi sull'umanita in riva al mare che il senso di rassegnata solitudine. Voto: 7,5
5) Venerdì. Forse Gaspar Noè riuscirebbe a sfigurare anche in un trittico con Luigi Batzella e Renato Polselli. Il suo "Ritual" è formato da due blocchi: nel primo due ragazze danzano, si baciano e si ritrovano a letto. Nel secondo una delle due viene sottoposta a un lungo esorcismo notturno, sovrastato da ossessivi ritmi tribali. Si possono scomporre entrambi i frammenti e leggerli in chiave misogina o razzista. Ma si farebbe comunque un favore ad un lavoro senza capo né coda, firmato da un regista arrogante e presuntuoso. La durata striminzita rispetto a recenti sciagure non giustifica questa sua parentesi cubana. Voto: 2
6) Sabato. Juan Carlos Tabìo è l'unico dei sette registi a giocare in casa. Il suo "Dulce amargo" comincia come una sit-com latina, con la coppia che si sveglia in un letto punzecchiandosi come accadrebbe in un episodio di Casa Vianello, quadretti da commedia almodòvariana, abusi di montaggio a base di iris e una chiusura che vira nell'amarognolo. Onesto ma meno succulento delle ricette culinarie che mette in mostra la protagonista. Voto: 5,5
7) Domenica. Il francese Laurent Cantet si è sempre definito un appassionato cubanofilo e grande ammiratore della letteratura cubana. Ma più che all'altra trasferta socio-politica del regista (l'Haiti del turismo sessuale di "Verso il Sud"), "La fuente" prova a cercare una libertà sulle tracce del suo capolavoro "La classe". Uno studio - dell'ambiente e degli attori - quindi libero e work in progress, per la costruzione di una fonte per la statua della Madonna.
Cantet è, insieme a Suleiman, il migliore dei sette registi che hanno realizzato "7 Days in Havana" ed era, dunque, lecito aspettarsi di più. Ma le ultime immagini che catturano l'anziana signora che immerge la mano nelle acque dell'oggetto desiderato, meritano di essere ricordate, e imprimono all'insieme un'appropriata impronta spirituale. Voto: 6,5
cast:
Josh Hutcherson, Daniel Brühl, Emir Kusturica, Melissa Rivera, Elia Suleiman, Jorge Perugorría, Mirta Ibarra, Daisy Granados, Vladimir Cruz, Luis Alberto Garcia
regia:
AA.VV.
titolo originale:
7 Days in Havana
distribuzione:
Bim Distribuzione
durata:
129'
produzione:
Morena Films, Full House, Havana Club International
sceneggiatura:
Leonardo Padura
fotografia:
Daniel Aranyó, Diego Dussuel
montaggio:
Thomas Fernandez, Rich Fox, Véronique Lange, Alex Rodríguez, Zack Stoff