Il cinema di Miike Takashi sembrava ormai aver preso una direzione decisamente più "mainstream", più o meno da quel giocattolone ultra-citazionista di "Sukiyaki Western Django", passando per interessanti trasposizioni di manga ("Crows Zero") e di anime ("Yattaman") che portavano avanti discorsi che il regista di Osaka aveva iniziato in tempi non sospetti, ma sembrava che il "grande film" o il "Miike migliore" fosse già passato e relegato alla sterminata filmografia a cavallo tra anni 90 e prima parte degli anni 00. "13 Assassini" ci riconsegna un Miike Takashi in forma smagliante, epurato da quasi tutti gli eccessi del suo stile e capace di corroborare la lezione di antichi maestri.
Quest'ultima fatica affonda le radici nello jidai-geki, genere classico del cinema giapponese nel quale numerosi registi si sono cimentati; nello specifico "Thirteen Assassins" è il remake di un film degli anni Sessanta del poco conosciuto Eiichi Kudo, nel cui rifacimento Miike dimostra anche rigore filmologico rispetto agli stilemi del genere.
Ambientato a metà ‘800, in Era Tokugawa, racconta dei problemi inflitti alla popolazione e agli imbarazzi causati agli alti funzionari dello shogun dal fratellastro di questi, il signore feudale Naritsugu. Tipica incarnazione del male miikiano, Naritsugu è un essere sadico, privo di empatia, violento per disposizione umana, mai per necessità. L'alto consiglio decide che il piccolo despota deve essere eliminato, per evitare in futuro complicazioni irrisolvibili. Non potendolo fare direttamente, assumono il samurai a riposo Shinzaemon Shimada e gli affidano il compito di arruolare un piccolo commando e compiere la missione. A questa sporca dozzina di samurai se ne aggiunge un tredicesimo, che sarebbe lo scalcinato vagabondo di toshiromifuniana memoria. Acquisteranno letteralmente un villaggio per farne teatro dello scontro contro l'esercito di Lord Naritsugo. Saranno 13 contro 200.
In molti continuano a pensare, a torto, che il cinema miikiano viva soltanto chiuso nel suo mondo, non dialogando con la realtà esterna. Il regista di Osaka ha sempre sotterraneamente parlato del Giappone contemporaneo, di perversione in perversione, variando i contesti e mascherandosi coi generi. Uno dei leitmotiv della sua filmografia è quella dell'uomo sradicato e a disagio nella società: nel caso di "13 assassini" tale ruolo è riservato alla sacra casta dei samurai che, a metà ‘800, si trovava "senza lavoro", a causa del prolungato periodo di pace; visti da tutti come animali preistorici, i loro modi e i loro rituali erano completamente sorpassati.
L'inquadratura plongèe di un incipit nettamente speculare a "Harakiri" di Kobayashi (che era storicamente situato nel 1630, quindi all'inizio dell'era Tokugawa) ci introduce agli ultimi rantoli dell'onore del codice samurai, e alla protesta contro un potere crudele e folle che non ha alcun rispetto per la vita - assorbita totalmente anche la lezione mizoguchiana.
Bastano una manciata di minuti a "13 assassini" per squadernare lo stile sontuoso che sarà prerogativa dell'intera opera: chi non conosce bene la filmografia di Miike rimarrà stupito da tanto controllo, se non addirittura deluso. Probabilmente non ci si ricorda dell'operazione che fece con lo yakuza-eiga, a inizio decennio, con la doppietta composta da "Agitator" e "Graveyard Of Honor", il secondo fedele remake della fondamentale pellicola di Kinji Fukasaku. Considerando che il prossimo film, già presentato al 64esima Festival di Cannes, è proprio il rifacimento del sopracitato capolavoro di Masaki Kobayashi, la tensione verso il rinnovamento di un altro genere, che in precedenza non aveva affrontato, appare piuttosto palese.
"13 assassini" si può suddividere senza problemi in due parti: la prima è quella che discetta, per mezzo dello sfondo storico-politico, della fine degli antichi valori e serve a far emergere dalla penombra della società questo gruppo di guerrieri pronto a tutto; dopo un intermezzo fatto di viaggio e organizzazione preliminare al combattimento, si può dare il via alla guerra. Miike si scatena e usa i corpi con coreografie perfettamente calibrate, in una tessitura audiovisiva curata ed esplosiva (con le partiture di Koji Endo e la fotografia Nobuyasu Kita).
Il racconto del commando di assassini sembra porsi come antiporta a un passaggio storico epocale: la dinastia Tokugawa, già in crisi, avrebbe ceduto nel giro di un ventennio. I tredici ronin, invece di farsi seppellire dalla storia, scatenano quel "massacro totale" cercato da Shinzaemon e tirano via nel sangue un'intera era.
cast:
Koji Yakusho, Yusuke Iseya, Tsuyoshi Ihara, Takayuki Yamada, Sosuke Takaoka, Kazuki Namioka, Hiroki Matsukata, Masachika Ichimura
regia:
Takashi Miike
titolo originale:
Jûsan-nin no shikaku
distribuzione:
Bim
durata:
126'
produzione:
Recorded Picture Company (RPC); Sedic; Rakuei-sha
sceneggiatura:
Takashi Miike; Daisuke Tengan
fotografia:
Nobuyasu Kita
scenografie:
Yuji Hayashida
montaggio:
Kenji Yamashita
costumi:
Sawataishi Kazuhiro
musiche:
Koji Endo