Nel finale del suo "Grizzly Man" Werner Herzog ascolta in cuffia la terribile registrazione della morte del protagonista, sbranato da un orso. Non la fa ascoltare al pubblico però, consiglia anzi ai parenti della vittima di distruggerla, troppo "spaventosa". Di certo il regista Danny Boyle l'avrebbe conservata e magari esposta platealmente alle masse. "127 Ore" racconta la vicenda, realmente accaduta, dello sprovveduto scalatore Aron Ralston, che nel 2003 rimase intrappolato da un masso in un desolato canyon dello Utah. Dopo cinque interminabili giorni (le ore del titolo) di lotta per la sopravvivenza (senza cibo e con una misera scorta d'acqua) capisce che l'unico modo per fuggire da quell'incubo è amputarsi il braccio, bloccato dalla roccia.
Tutto ciò però è raccontato senza pudore, senza mai interrogarsi, al contrario del citato "Grizzly Man", su quelli che possono essere i limiti morali della visione. Boyle è sempre stato un regista senza molte sfumature ma qui, più che mai, i difetti del suo Cinema prevalgono sui (pochi) pregi. Negli ultimi anni altri film hanno saputo raccontare il tema della lotta per la sopravvivenza con ben altro spessore ed enfasi (da "Cast Away" di Zemeckis, al sottovalutato "World Trade Center" di Stone, sino a "L'alba della libertà" sempre di Herzog), così come quello del rapporto tra l'uomo e un'insondabile, spietata, natura (valga per tutti lo splendido "Into The Wild"), ma a Boyle, come già era evidente nell'altrettanto semplicistico "The Millionaire", non interessa nessuna vera riflessione, ma solo stimolare l'attenzione del pubblico con i meccanismi più facili (le "visioni" dello stremato Aron che ricorda la famiglia e il rapporto finito male con la ragazza amata), e innumerevoli colpi bassi (l'insistenza con cui riprende la sequenza dell'amputazione è inaccettabile, oltrechè sbrigativa, e fa sembrare i film della serie "Saw" roba della Disney).
A sfuggire primariamente è il senso di un'operazione di questo tipo, che finisce per colorarsi anche di simbologie e sottotesti ambigui: i cinque giorni passati nel canyon - inferno sono forse una punizione divina nei confronti della vita dissoluata e solitaria di Aron? Il protagonista arriva a pensare di essere stato "predestinato" sin dalla nascita a rimanere bloccato da quel masso, e una didascalia finale ci informa che poco dopo essersi salvato ha incontrato l'anima gemella, sposandosi. E' questo il fine ultimo della prova di sopravvivenza a cui è sottoposto il povero Aron? In dirittura d'arrivo si è perplessi e ne esce soprattutto un ritratto (consapevole o meno) della superficialità e tracotanza della cultura yankee (Aron fotografa i luoghi che ha esplorato, conquistato e "vinto", e ovviamente immortala anche la roccia che gli è costata l'arto), esemplificata nell'ossessione per le riprese "reality" delle proprie esperienze, anche le più traumatiche (il protagonista registra con la videocamera anche i momenti più tragici della sua vicenda).
Senza nulla togliere alla prova del sempre più convincente James Franco, a lasciare dubbiosi è proprio Boyle, che tenta di dare spessore e ritmo alla vicenda con tutti i trucchetti che ci si aspetta da lui (montaggio da videoclip, fotografia in digitale, canzoni "stranianti" in colonna sonora), ma senza mai emozionare o coinvolgere davvero. In definitiva, nonostante l'alto potenziale, "127 Ore" è un film sbagliato e che non convince sotto troppi punti di vista.
cast:
James Franco, Kate Mara, Amber Tamblyn, Sean Bott, Treat Williams, John Lawrence
regia:
Danny Boyle
titolo originale:
127 Hours
distribuzione:
20th Century Fox
durata:
94'
sceneggiatura:
Danny Boyle, Simon Beaufoy
fotografia:
Enrique Chediak, Anthony Dod Mantle
scenografie:
Suttirat Anne Larlarb
montaggio:
Jon Harris
costumi:
Suttirat Anne Larlarb
musiche:
A. R. Rahman