Intervista esclusiva agli autori del film-evento sul calciatore Javier Zanetti, leggenda interista (e non solo)
Javier Zanetti, classe 1973, è il calciatore straniero con più presenze nella serie A italiana (618) e quello con più presenze nella storia dell'Inter (858). È il capitano interista con più presenze in Champions League (82) ed è il giocatore che ha vinto di più: 5 scudetti, 4 coppe Italia, 4 Supercoppe, 1 Coppa Uefa, 1 Champions League e 1 Coppa del Mondo per club Fifa.
Non stupisce dunque che l'Inter abbia deciso di celebrare la carriera eccezionale di questo impareggiabile campione con un grand gala durante il quale sarà proiettato il film documentario "Javier Zanetti: capitano da Buenos Aires", distribuito anche via satellite nelle sale di tutta Italia venerdì 27 febbraio in un doppio spettacolo.
Stupisce di più, forse, che dietro la macchina da presa ci siano due registi con un pedigree da veri autori. Il primo è Simone Scafidi, il più giovane regista italiano al quale sia stata dedicata una retrospettiva dalla Cineteca Nazionale di Roma. Filmmaker indipendente, con i suoi precedenti "Gli arcangeli" e "Appunti per la distruzione" ha definito un'estetica precisa, perturbante e molto personale. Il secondo è Carlo A. Sigon, pubblicitario di successo attivo già nella Milano da bere di fine anni 80. Grazie ai suoi corti ha vinto alla Mostra del Cinema di Venezia e al Torino Film Festival, prima di esordire nel lungometraggio dirigendo Claudio Bisio e il Premio Oscar Ernest Borgnine ne "La cura del gorilla".
Li abbiamo incontrati per capire meglio il loro punto di vista sul progetto.
"Javier Zanetti: capitano da Buenos Aires" è ovviamente la celebrazione di un calciatore straordinario e, con lui, di un pezzo della storia dell'Inter. Qual è la vostra fede calcistica?
Scafidi. Siamo entrambi interisti. Sicuramente questo è stato un presupposto importante per realizzare il film.
Sigon. Però non parlerei di fede calcistica: siamo solo normali tifosi ed è stata proprio la carriera formidabile di Zanetti a risvegliare la nostra passione.
Il film però non è solo un'operazione per tifosi.
Scafidi. Al contrario, è prima di tutto un film su un uomo, la sua storia e il suo percorso, anche al di fuori del campo da gioco. Naturalmente sappiamo bene che la maggior parte degli spettatori di "Javier Zanetti: capitano da Buenos Aires" sarà interista, però abbiamo cercato fin dal principio di fare un film che potesse piacere anche a chi non si interessa affatto di calcio.
Sigon. Non essendo tifosi sfegatati, abbiamo realizzato un film che ci permettesse di giocare a fare il nostro mestiere: raccontare una storia.
Nonostante la sua carriera clamorosa, voi stessi avete descritto Zanetti come "un soggetto che ha nella linearità, di pensiero e di percorso, la sua essenza". Come avete raccontato questa sua (apparente) normalità, che può essere un elemento quasi anti-cinematografico?
Scafidi. Da registi, siamo più facilmente attratti dalle storie di genio e sregolatezza. Nel mio precedente documentario "Appunti per la distruzione" ho parlato di Dante Virgili: uno scrittore nazista, autore di un solo libro in cui prevedeva la caduta delle Torri Gemelle, morto senza lasciare neanche una fotografia... Insomma, un personaggio decisamente fuori dall'ordinario. Ma come dice lo scrittore Albino Guaron all'inizio del nostro film: "Cosa ci vuole a scrivere un libro su Che Guevara o su Gesù Cristo? Che fantasia serve per fare un film su Maradona?" Abbiamo scelto Zanetti perché ci sembrava quasi come un blocco di marmo, difficile da plasmare. È stata una sfida intrigante.
Sigon. Zanetti viene descritto spesso come un uomo e un atleta irreprensibile, perfetto, senza sbavature. Mica facile affrontare un personaggio del genere. La nostra sfida è stata quella di drammatizzare una figura apparentemente piatta, bidimensionale, come la figurina di un album Panini.
Scafidi. Oltretutto, la sua linearità di pensiero diventa quasi un paradosso se messa in relazione all'Inter: com'è possibile che il simbolo della squadra "pazza" per eccellenza sia un uomo così ordinario, senza ombre? Questo è stato il punto di partenza della nostra indagine
Non c'è epica quindi nel racconto di questo eroe?
Scafidi. In parte sì, in parte no. Zanetti non è il tipico fuoriclasse, come Messi o Maradona. È piuttosto un giocatore che ha fatto della sua dedizione e della sua diligenza la chiave per migliorarsi, fino ad arrivare a sconfiggere quasi le leggi della natura: non dimentichiamoci che ha alzato la Coppa dei Campioni, da capitano, a 37 anni. In questo senso, l'epica di Zanetti è quella di un uomo che attraverso l'impegno e la fede in se stesso è arrivato a ottenere risultati insperati.
Una particolarità di "Javier Zanetti: capitano da Buenos Aires" è che dietro la macchina da presa ci sono due registi con un pedigree da veri autori. Come avete messo la vostra personalità a servizio di un film come questo?
Sigon. In realtà è stato un processo molto naturale. Non ci siamo neanche dati un metodo prima di partire.
Scafidi. Nel mio percorso professionale ho sempre cercato di realizzare un cinema personale, perché credo che, come diceva Howard Hawks, il film di un regista si debba distinguere da quello di un altro fin dalla prima scena. Questo perché, a mio parere, quando si racconta una storia bisogna innanzitutto essere sinceri verso se stessi, quindi scrivere e dirigere secondo le proprie necessità, le proprie urgenze comunicative. Per questo io e Carlo ci siamo chiesti fin dal principio come potevamo affrontare la figura di Zanetti in una maniera che fosse nostra: credo che sia stata la nostra sfida principale. Naturalmente eravamo ben consci di dover inserire alcuni elementi che il pubblico avrebbe voluto vedere: materiale di repertorio, gol, grandi vittorie, interviste a personaggi noti del mondo del calcio e del mondo dello spettacolo... Tutto questo noi l'abbiamo messo.
Sigon. Dall'altra parte però abbiamo cercato di personalizzare il racconto. Per prima cosa abbiamo scelto di lasciare Zanetti fuori campo, non intervistandolo mai. Ci sembrava sbagliato mettere davanti alla macchina da presa a parlare di sé un uomo d'azione concreto come Zanetti. Abbiamo preferito che fossero gli altri a parlare di lui.
Scafidi. La seconda scelta importante è stata eleggere a narratore del film Albino Guaron, uno scrittore argentino, anziano, cieco, poco conosciuto dal mondo dei tifosi.
Effettivamente è una scelta inusuale per un film di questo genere.
Sigon. Le sue parole ci sono servite da contraltare alle interviste elegiache di amici, tifosi, giornalisti, ammiratori, parenti. Albino Guaron è uno scrittore abbastanza vecchio e abbastanza integro da non dover corteggiare nessuno, da non aver nessun vincolo emotivo nei confronti di Zanetti, e allo stesso tempo capace di raccontarlo con una voce alta e poetica. Appoggiandoci alle sue parole, abbiamo reso muto un uomo d'azione e abbiamo dato voce a uno scrittore cieco: un cortocircuito sensoriale stimolante.
In una scena del film avete messo a confronto Guaron e Zanetti, lo scrittore e il "suo" personaggio.
Scafidi. È vero: il romanziere incontra l'oggetto del suo narrare. Come potevamo raccontare questo incontro? A distanza, con pudore. Del resto, potresti mai mostrare Salinger che parla con Holden? Joyce che parla con Dedalus? Conrad con Kurtz? Nulla sarebbe all'altezza di quello che un lettore (o spettatore) può immaginare.
Sigon. È stato un momento molto emozionante. A Zanetti la proposta è sembrata stravagante, ma si è subito lasciato andare, tanto che alla fine è stato lui a guidare il colloquio.
Che rapporto avete instaurato con Zanetti?
Sigon. Estremamente corretto. Javier ha confermato tutte le virtù che gli attribuiscono: è molto cortese, gentile, riservato e ha aderito al nostro progetto in maniera immediata, aperta e spontanea. La vera marcia in più però è stata sua moglie Paula, che ci ha aiutato molto durante il nostro viaggio a Buenos Aires.
E invece il rapporto tra di voi? Com'è stato condividere la sedia del regista?
Scafidi. Siamo sicuramente diversi, sia per età che per percorso artistico: io mi sono sempre mosso in un ambito underground, arthouse, sommerso, mentre Carlo si è formato negli anni d'oro della pubblicità, ha partecipato a Torino e Venezia coi suoi corti e ha diretto un film importante come "La cura del gorilla". Siamo molto diversi, ma abbiamo una sintonia umana profonda: tra di noi si è creato un rapporto di amicizia molto stretto.
Sigon. Siamo opposti anche fisicamente: lui è piccolino ed esile, io sono alto due metri e molto espansivo. Sarà per questo che siamo riusciti a incastrarci così bene. Secondo me abbiamo coltivato un fattore emotivo, sentimentale che ha reso particolarmente facile incontrarci in questo momento della nostra vita. È stata la mia prima esperienza di co-regia in trent'anni di lavoro. Ed è andata veramente liscia come l'olio.
Scafidi. È stato tutto davvero molto spontaneo: prima parlavamo, poi scrivevamo, ci confrontavamo e riscrivevamo. Sul set non abbiamo mai avuto problemi: quando dirigeva uno, l'altro stava in silenzio e viceversa. Non c'è stato mai uno screzio o una divergenza su qualche scelta.
Ma come siete arrivati all'idea di un film proprio su Javier Zanetti, tifoserie a parte?
Scafidi. Prima di "Javier Zanetti: capitano da Buenos Aires" stavamo già sviluppando insieme un film cupo e conradiano sugli scandali finanziari. Ovviamente non siamo riusciti a ottenere i finanziamenti. Allora è nata l'idea di fare qualcosa che in questo Paese saremmo riusciti a finalmente farci produrre: un film sul calcio. Abbiamo presentato l'idea al produttore Luchino Visconti, che a sua volta ha coinvolto l'Inter e Moratti. Poi sono entrate in campo le forze di Pirelli e di Nexo Digital, responsabili di una formidabile distribuzione "ad evento" che sta riscuotendo molto successo. Diciamo pure che il film è nato in maniera poco romantica, ma il risultato ha comunque una sua personalità: se da una parte ci siamo messi al servizio di Zanetti, dall'altra abbiamo cercato di rimanere fedeli alla nostra idea di cinema per lasciare comunque un segno, una zampata.
Il film uscirà nei cinema di tutta Italia il 27 febbraio. L'accoglienza è stata molto buona, tanto che le massicce prenotazioni e i molti sold out hanno imposto la necessità di raddoppiare le proiezioni. Pensate che questo successo vi porterà a collaborare nuovamente in futuro? È l'inizio di un sodalizio artistico?
Scafidi. Sappiamo bene che il successo che si sta profilando è legato prevalentemente al personaggio: è Zanetti che la gente vuole vedere. Dopo il grande evento del 27 si cercherà di sondare altri canali distributivi: dvd, televisione, vendite all'estero. Io e Carlo, in ogni caso, abbiamo già degli spunti per nuovi progetti, però bisogna vedere se troveremo un'altra idea poco romantica da farci produrre.
Sigon. Credo che comunque il sodalizio sia già iniziato da tempo: successo o no, noi siamo già al lavoro. Nel frattempo ci godiamo l'attenzione e il calore che sta riscuotendo "Javier Zanetti: capitano da Buenos Aires". Ricordo che, in passato, con "La cura del gorilla" avevo a disposizione meno di un terzo delle sale che invece abbiamo oggi. È una bella sensazione.
Possiamo sperare di vedervi presto di nuovo al cinema, insieme e non?
Scafidi. Nel mio prossimo futuro c'è "Eva Braun", un film molto più personale e arthouse, se vogliamo usare l'espressione. È uscito da poco in home video in Inghilterra, mentre in Germania è attualmente in fase di doppiaggio. Poi sarà in Australia, Taiwan, Corea del Sud... In Italia verrà distribuito nei prossimi mesi. Sto lavorando anche ad altri quattro o cinque progetti, di tutti i tipi. Se sarò fortunato, almeno uno diventerà realtà. Ma se sarò fortunato.
Sigon. Io invece faccio la pubblicità quasi a tempo pieno, però insieme a Simone ci siamo già messi a scrivere. Per noi, il momento della scrittura e della preparazione è il più bello. A prescindere dal successo, non ce lo neghiamo certo: continueremo fino alla morte.
Quindi possiamo ben sperare.
Sigon. E noi speriamo con voi.