Anica e il Ministero dei Beni culturali analizzano lo stato di salute del cinema italiano nel 2014: tra apparenti crescite produttive, ambigue ripercussioni del duopolio televisivo e l'oramai imbarazzante universo distributivo
Lo scorso 5 maggio sono stati resi noti dall'associazione dell'Anica e dalla direzione generale del MiBACT i dati relativi allo stato di salute del cinema italiano nel 2014. Si tratta di un sintetico (forse troppo) resoconto statistico suddiviso in tre macro sezioni: produzione, tv e distribuzione.
Produzione "Tutti i numeri del cinema italiano" (questo il titolo del dossier) è sicuramente una fonte importante che agglomera ogni anno tra i suoi dati ricerche accurate e interessanti ma è fondamentale partire dal presupposto che, seppur l'Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e multimediali raggruppi buona parte della filiera del cinema italiano, il mercato risente inevitabilmente delle restanti committenze che aderiscono ad altre associazioni come l'Agis che raggruppa a sua volta gli esercenti non multiplex e i giovani produttori indipendenti (oltre ad altri soggetti minori quali ANAC e FIDAC solo per citarne due). Una mancanza non da poco se si considera che il sistema cinematografico produce annualmente centinaia e centinaia di film che sembrano poi vaporizzarsi nel nulla e dei quali effettivamente non si riscontrano risultati nel rapporto presentato. Questo non significa che i dati che si andranno a presentare siano inesatti, sicuramente però non sono esaustivi per comprendere a pieno le problematiche di cui risente il mercato italiano cinematografico.
Secondo ANICA e MiBACT i film italiani prodotti nel 2014 sono 201, ben 33 in più dell'anno scorso. E a crescere non è solamente la produzione in generale ma soprattutto il numero di film interamente italiani. Sono infatti solo 21 le coproduzioni (maggioritarie e minoritarie) mentre i restanti 180 sono prodotti 100% italiani. Un salto che fa (apparentemente) ben sperare se si pensa che l'anno scorso i film prodotti furono 167 e solo 137 erano di origine interamente italiana. Il problema è che le risorse economiche non sembrano crescere in rapporto all'aumento della produzione. Se è vero infatti che tra i 323 milioni di euro di budget totali (12 in meno dell'anno scorso) vi è stato un aumento nell'investimento dei film interamente italiani e delle coproduzioni maggioritarie e paritarie (la Francia rimane la nostra migliore alleata su questo versante), in realtà è da riscontrare il calo dell'investimento medio per ogni pellicola, in particolar modo per quelle low budget sotto i duecento mila euro che ricoprono più dei due terzi del totale. Anche i budget più sostanziosi, quelli superiori ai 2,5 milioni di euro sono nettamente inferiori alle medie internazionali. A destare preoccupazione è, a questo punto, anche il calo della coproduzione che implica il totale ripiegamento delle forze provenienti dal nostro territorio, operazione che sembra non possiamo permetterci, stando ai dati evidenziati.
Gli investimenti delle emittenti duopolistiche Rai-Mediaset si confermano i più onerosi nella composizione del budget, comprendendo quasi la metà del totale, per effetto delle disposizioni delle direttive europee e della legge Maccanico (122/98), seguito dal credito d'imposta per investitori esterni al mondo cinematografico che sembra essere un fenomeno su cui il cinema può fermamente contare in futuro (circa un quarto del totale). A farla da padrone sono le attività finanziarie e assicurative ma ci sono importanti incrementi nel settore scientifico e manifatturiero. Meno influenti ma comunque in aumento le composizioni dei costi che riguardano il tax credit sulla produzione e i fondi regionali, quasi interamente gestiti dalle film commission, altra realtà in continua espansione che meriterebbe un'analisi a parte. In generale, è inequivocabile la politica che vede il progressivo calo dell'investimento pubblico nazionale diretto a favore del credito d'imposta nelle risorse pubbliche per la produzione italiana.
TvLa tv parla americano. Sia in quelle in chiaro che in quelle satellitari il cinema Usa e coproduzioni annesse detengono il primato con audience e share più elevati. Segue il prodotto italiano e più staccati Europa ed extra-Europa. Rai 3 per la Rai e Rete4 per Mediaset detengono invece il primato di film trasmessi in tv per numero di passaggi durante l'intera giornata anche se è Canale 5 ad assicurarsi quasi la metà dei film italiani programmati in prima serata. Le altre emittenti prediligono la seconda serata per trasmetterli. A far riflettere è in generale il dato che vede il gruppo Mediaset programmare più cinema italiano di quanto non faccia Rai, la nostra televisione pubblica (che ricordi la formazione culturale che era capace di creare lo sceneggiato televisivo Rai oltre a tutti i suoi film programmati in prima e seconda serata!). Le reti generaliste prediligono passaggi in tv di film italiani prodotti tra il 50 e il 79 e ne compongono quasi la metà dei passaggi totali. Nella top ten dei film in tv per share, alla stessa stregua del cinema, a farla da padrone è la commedia anche se al primo posto c'è il fenomeno de "
La grande bellezza", proposto da Mediaset subito dopo la vittoria agli Oscar, capace di catturare il 36% di share. Un esperimento che ha destato l'ira funesta degli esercenti perché il film era in contemporanea al cinema. La fetta dei titoli unici trasmessi dalle tv tematiche è invece ripartita in modo pressoché condiviso da Mediaset (Iris), Sky (Sky Cinema) e Rai (Rai Movie).
L'americanizzazione della tv privata è un problema che risale dalle prime emittenti Fininvest degli anni 80. Colpa di un problema politico, culturale e sociale che si sta cercando in tutti i modi di colmare. Una delle soluzioni è quella di proporre nuove leggi che incentivino le industrie europee a sostituirsi all'America e che allo stesso tempo obblighino le tv a lavorare e a investire direttamente sul cinema più di quanto non si faccia già. Ma il duopolio non aiuta di certo a risolvere il problema e, anzi, non fa nulla per contrastarlo. In particolare nel cinema i piccoli-medi produttori non hanno diritti perché spesso sono costretti a cederli alla potenza di Rai Cinema e Medusa per dare visibilità al progetto. In questo modo gli stessi produttori riceveranno solo parcelle ma non potranno mai sfruttare a pieno le loro idee e portare avanti da soli il proprio lavoro. E poi c'è il caso Netflix, che insieme a tutti gli altri "over the top" (Google e Youtube in primis) stanno attecchendo in tutta Europa. Dopo travagliati posticipi ora sembra che il servizio di streaming e on demand statunitense approderà da noi alla fine di quest'anno, creando un piccolo terremoto nel mondo della tv e destabilizzando tanto le major quanto le pay tv. Mai come in questo momento il binomio tv-cinema sta vivendo in continuo fermento e in rapida evoluzione.
DistribuzioneMale il mercato nazionale. Incassi minori (-7% rispetto il 2013) e presenze minori (-6% rispetto al 2013). A oggi, i 735 milioni di incasso e i 110 milioni di presenze del 2010 rimangono un miraggio. Valutando i soli film italiani il crollo è ancor più importante: -17% di incasso e -16% di presenze. Sostanzialmente equilibrata invece la suddivisione per paese dei 1187 film distribuiti nel 2014 (di cui 385 Usa, 329 Italia, 323 Europa). Tutt'altro che bilanciata invece è la serie delle quote di mercato che vede sempre gli Usa accaparrarsi oltre il 60% del mercato. Purtroppo si conferma anche l'abisso tra le presenze (e quindi anche i relativi incassi) nelle sale nei mesi invernali in confronto a quelli estivi, il rapporto è 1:4, tantissimo. Il direttore generale Cinema del MiBACT, Nicola Borrelli ha evidenziato il problema della carenza di film in estate, per il quale sono previsti interventi nei prossimi decreti, e le distorsioni a livello distributivo sulle quali l'Antitrust potrebbe avere modo di intervenire.
Nella top ten dei film italiani al botteghino compaiono ben otto commedie, oltre ai traguardi eccezionali raggiunti inaspettatamente da Martone ("
Il giovane favoloso") e da Virzì ("
Il capitale umano"), esattamente come nel 2013 riuscirono nel miracolo Tornatore ("
La migliore offerta") e Sorrentino ("
La grande bellezza"). Infine Lombardia e Lazio si confermano le due regioni con il più alto numero di schermi, di presenze e di incasso, seguite dal Veneto, dall'Emilia e ancora dietro Campania e Piemonte. Per contro, tra le più vaste e influenti la regione della Sardegna si rivela quella con la più bassa percentuale di schermi, presenze e incassi. Sempre Borrelli ha annunciato che il Ministro Franceschini ha ottenuto lo stanziamento per risanare il debito nei confronti delle sale, in materia di contributi in conto capitale, che verrà ripianato al massimo entro tre anni. Vedremo.
In realtà il discorso sulla distribuzione è ben più complesso e stratificato di quanto questi pochi dati possano registrare. L'anello debole per eccellenza di tutte le fasi dell'industria cinematografica made in Italy non può non affrontare temi quali i ritardi dai festival, i problemi di distribuzione che incontrano i giovani emergenti registi italiani, per non parlare di quelli che rimangono invisibili e senza alcuna copertura, la scelta inqualificabile di assestare prodotti che sono scarti da macello nel periodo estivo (poi di che ci lamentiamo se d'estate in sala non va nessuno?). E ancora, le teniture tengono sempre conto di fattori meritocratici oppure lo smisurato potere di alcune case di produzione/distribuzione ne decretano il mantenimento (forzato)? La multiprogrammazione a opera soprattutto dei multiplex non può essere l'unica soluzione, in una rete, quella distributiva, che dovrà tenere sempre più testa alle mutazioni digitali che già stanno interessando anche il settore televisivo.
Un ultimo appello va a chi il cinema lo tiene in piedi, lo spettatore. Perché tra le apparenti "crescite" produttive, l'ambiguo duopolio televisivo e l'imbarazzante universo distributivo, le soluzioni ai problemi non possono nascondersi solo in ambito politico ed economico ma devono trovarsi per forza di cose all'interno di un contesto socio-culturale in grado di ampliare le prospettive di un settore in continua metamorfosi, aperto a consolidamenti artistici e culturali ma ancora oggi tristemente fossilizzato da un abulico ingranaggio industriale (fosse almeno quello del mercato americano!). Se 26 dei 30 film italiani più visti in sala degli ultimi tre anni sono commedie sentimentali e demenziali è chiaro che l'industria dovrà adeguarsi a quello standard per tenere ancora in piedi la baracca, almeno in termini monetari.
Mubi, il servizio on demand dedicato al cinema d'autore che consente di visionare il 97% delle pellicole mondiali non distribuite in Italia, è a conoscenza di quelle poche migliaia di persone che identificano il cinema quale intrattenimento, certo, ma anche come un'esperienza qualitativamente ed emotivamente appagante. Quello che i più considerano semplicemente "nicchia".
Per poter sperare che i futuri "numeri del cinema italiano" comincino a fiorire veramente e prima che politica e mercato si occupi realmente di tutti i problemi che gravitano attorno a questo mondo, serve che il pubblico capisca cosa possa offrire il cinema nella sua interezza, serve che sia pronto a questa esperienza. Non basta che Sorrentino, Moretti e Garrone partecipino a Cannes, non basta che il nuovo 007 venga girato tra le vie di Roma per migliorare lo stato di salute del cinema italiano. Serve qualcosina di più. A cominciare dalla formazione. In Francia lo hanno già capito, alle elementari i bambini assistono a tante videoproiezioni e poi una volta divenuti più grandi studiano nelle scuole secondarie Metz, Bazin, Deleuze, Bellour. Noi, ci accontentiamo di Marzullo in tv e in terza serata.