Che cosa non può fare un cavallo. E che cosa non può dirci con il suo muto linguaggio. Può attraversare guerre e raccontarci, col suo corpo e i suoi occhi, l'amore. Attraversare la morte e portarci addosso tutta la vita possibile.
Il cavallo da guerra presentato da Steven Spielberg fa questo e molto di più. Ci trascina dentro l'infanzia che tutti ci portiamo dentro in faccia all'età e aizza le spinte romantiche che sono in ognuno di noi, anche se non si vedono. Anche se ognuno le chiama come vuole o non le chiama. In apparenza racconta anche l'ultimo utilizzo dei cavalli come strumento di battaglia, nel primo conflitto che vede l'entrata in scena dei carri armati ma Spielberg, che ha deciso di dirigere questo "War Horse" (dal 17 sui nostri schermi) non appena ha visto il suo adattamento teatrale al National Theatre di Londra - un successo poi approdato nei teatri di Broadway - e che è stato spinto a farlo anche dalla moglie e da una delle sue figlie che cavalcano appassionatamente, sapeva da subito che tipo di film voleva fare.
Ovviamente. Con le sue parole: "Non un altro "Salvate il soldato Ryan" ma una storia incentrata sui legami affettivi, adatta alle famiglie e ai bambini più grandi: alcuni corpi saltano in aria, ma non c'è spargimento di sangue e un'esecuzione da parte di un plotone viene coperta dalla pale di un mulino". Che significa "un film d'amore e non di guerra" e con un protagonista, il cavallo Joey e gli altri otto colleghi a quattro zampe, "che meriterebbero l' Oscar tutti insieme ma principalmente due, Abraham e Finder, addestrati da Bobby Lovgren e dal suo team di "sussurratori". A sostenerli nella loro corsa forsennata attraverso i campi di battaglia della Somme, un cast all british, con Tom Hiddleston e Benedict Cumberbatch nei panni degli ufficiali e Emily Watson che interpreta la madre di Albert, il giovane e proprietario di Joey che sogna molto e che alla fine (solo perchè siamo dentro un film di Spielberg) vede tradursi il suo sogno in realtà. Gli dà volto e corpo l'esordiente Jeremy Irvine, voluto da Spielberg per le sue "qualità ineffabili, che l'hanno subito reso diverso dagli altri, per la sua autenticità di fronte alla telecamera".
Mentre la Emily Watson madre chiarisce "che non si tratta solo di una storia d'amicizia con un cavallo e un ragazzo ma che si racconta anche delle tecniche di combattimento e della guerra, cioè il film è più cose insieme". La sua prima volta con Spielberg? "E' stata sorprendente perchè è un regista che ama gli attori e io non lo pensavo. Ti aiuta sempre, ti da suggerimenti mentre reciti , sta sempre lì con te e ti parla di continuo. Ti parla, cosa che pochi registi fanno di solito". Entusiasmo e nessuna paura? "Sì, molte paure. Ho paura degli animali grandi, di certo dei cavalli. Ma non l'ho detto subito, solo dopo che mi avevano preso e che avevo cominciato a lavorare. Ho mentito perchè volevo assolutamente esserci in questo film, avrei superato ogni cosa. E così ho fatto, anche se resta la mia paura per gli animali che mi superano in altezza, ma anche con i piccoli animali non ho un grande feeling". In compenso il vero feeling lo creeranno gli spettatori con i cavalli del film, i loro occhi resteranno nei vostri. Vedere per credere.