Matteo Boscarol vive in Giappone, è saggista e critico cinematografico e scrive di cinema per "Il Manifesto" e per altre riviste. Ha curato Tetsuo. La Filosofia di Tsukamoto Shin’ya (2013), ed è intervenuto in volumi monografici su Satoshi Kon, Oshima Nagisa, Sono Sion, lo Studio Ghibli. Ondacinema lo ha intervistato per parlare del suo volume "I mondi di Miyazaki. Percorsi filosofici negli universi dell’artista giapponese" (Mimesis 2023), una corposa e aggiornata monografia sull'amato regista giapponese
Oltre ai tuoi saggi, il volume include contributi dei filosofi Marcello Ghilardi e Roberto Terrosi, del fisico Marco Casolino, dei critici Luigi Abiusi e Andrea Fontana, dell'esperto in studi audiovisivi Alberto Brodesco, del ricercatore Massimo Soumaré, dello storico dell'animazione Marco Bellano. Un parterre di esperti numeroso e dalle competenze complementari. Come mai?
All’inizio l’idea era quella di realizzare un volume unitario con un filo conduttore comune, sulla falsariga di un libro accademico per intenderci. Poi però, un po’ per la difficoltà del progetto, un po’ anche perchè le diverse voci e i diversi approcci rapresentano forse meglio la pluralità con cui è possibile affrontre l’opera di Miyazaki, si è deciso di dare al libro la forma corrente. Essendo poi il volume uscito, nella sua prima edizione, poco tempo dopo Si alza il vento, molto spazio è stato dedicato, dai vari contributi, a quello che al tempo doveva essere l’ultimo film di Miyazaki.
Nel tuo saggio "Attraversare la soglia, il movimento della vita e la vita come movimento: una lettura del manga Nausicaä della valle del vento", accenni alla rivoluzione neolitica e alla rivoluzione industriale come momenti in una certa misura fondativi rispetto alla civiltà moderna, una preoccupazione che in Miyazaki appare centrale soprattutto rispetto alla crescente opposizione tra esigenze antropiche e ritmi naturali. In che modo questa preoccupazione si lega, più in generale, a una sensibilità storica della cultura giapponese
Tendo ad avere una visione anti-essenzialista e più orientata verso i processi storici e i divenire quando si parla di "cultura giapponese". Detto questo però, esiste certamente una certa visione deantropologizzata del mondo da parte di quelle pratiche locali e millenarie che sono state raccolte e denominate Shintoismo (si legga a questo proposito il bel saggio di Roberto Terrosi contenuto nel volume). Secondo me è più la visione di Miyazaki che cerca di allontanarsi dall’uomo come centro dell’universo, i suoi interessi verso il mondo degli animali (insetti specialmente), naturalmente l’influenza delle pratiche religiose dell’arcipelago, ma anche alcuni grandi disastri ecologici, come la sindrome di Minamata, che lo ha molto influenzato e convinto della stupidità e della tendenza autodistruttiva del genere umano. Allo stesso tempo però, Miyazaki rimane molto legato alle figure umane e i suoi personaggi portano dentro di sè questa duplice valenza di odio e amore verso l’umano.
Invece, nel tuo saggio "Nei mondi di Miyazaki. Il ragazzo e l'airone", affronti l'ultimo lungometraggio di Miyazaki e racconti che molti spettatori sono rimasti frustrati o delusi dalla forte opacità narrativa che contraddistingue il film. Quali sono le vicende produttive e personali che sono all'origine de “Il ragazzo e l'airone”, e probabilmente di questa opacità
Il ragazzo e l’airone ha avuto una produzione particolare rispetto ai precedenti lavori, si tratta infatti del primo lungometraggio targato Ghibli non realizzato attarverso il cosiddetto sistema delle seisaku iinkai, gruppi di produzione formati da diverse compagnie provenienti da aree diverse (giocattoli, musica, televisione) che mettono insieme le loro risorse per realizzare un certo lavoro. In questo modo, ci sono più richieste da soddisfare e più paletti da aggirare. Con Il ragazzo e l’airone quindi, piu che in altri lavori, Miyazaki ha avuto una libertà espressiva maggiore, senza grandi interventi da parte du Suzuki e soci, una libertà che si riflette nell’opacità narrativa del lungometraggio che sembra seguire l’estro creativo di Miyazaki più che una vera e propria "storia". Tutto questo è stato naturalmente possibile anche grazie allo status raggiunto dal regista nell industria cinematografica del suo paese negli ultimi decenni. Il fatto che Miyazaki sarebbe tornato a realizzare un lungometraggio, ha rappresentato di per sè un evento.
In un altro saggio, parli del cortometraggio "Il bruco Boro", che definisci fondamentale per Miyazaki: il mondo degli insetti è da sempre centrale nella sua iconografia, e inoltre gli ha consentito di familiarizzare con la CGI. Ci descrivi quest'opera?
Il cotrometraggio in questione fa parte di una serie di lavori di breve durata che sono visibili esclusivamente nei due parchi/musei Ghibli, a Tokyo e nella prefettura di Aichi. Spesso si tratta di piccoli esperimenti con i quali Miyazaki prova a battere nuove strade. Con "Il bruco Boro" il regista giapponese ha creato, per esempio, il primo lavoro da lui realizzato in CGI (Principessa Mononoke fa ampio uso di CG, ma naturalmente è formato in gran parte da tecniche animate in 2D).
Tematicamente Miyazaki si concentra su un microcosmo di insetti in un giardino e rafforza quella sua tendenza a raffigurare e focalizzare la sua attenzione su alcuni angoli non-umani del creato di cui si diceva sopra e che tanta importanza rivestono nella sua poetica.
La fascinazione per il mondo degli insetti è una delle tante che rivelano la sensibilità ecologica di Miyazaki. Si può definire la sua poetica anti-antropocentrica? È forse un elemento centrale della sua filmografia?
Direi di sì e a quanto ho detto più sopra e come conclusione, mi piacerebbe aggiungere che le sue visioni non sono mai univoche e che questa polifonicità è possibile e colpisce lo spettatore soprattutto grazie, dirlo sembra una banalità ma va ribadito, alla bellezza dei suoi disegni e delle sue animazioni.