Erano anni che non ci trovavamo di fronte a un Festival così povero di titoli interessanti. Senza pretendere capolavori su capolavori, ci aspettavamo sicuramente di più
Sicuramente la peggiore edizione del Festival di Cannes dal 2010, quando Thierry Frémaux, padre padrone della kermesse, non era riuscito ad assemblare una selezione competitiva. Ancora più grave che non sia riuscito a farlo in occasione del 70° anniversario di quello che rimane uno degli eventi mondano-culturali più importanti dell'anno.
Già in fase di conferenza stampa si era colto che a Cannes 2017 mancavano tanti nomi importanti, da Kore-eda a Kechiche, da Hou Hsiao-hsien a Nolan fino a Kathryn Bigelow, per non parlare dei blockbuster hollywoodiani o dell'ultimo Luc Besson. Poi, quando grandi registi come Todd Haynes con "Wonderstruck" o Sergei Loznitsa con "A Gentle Creature" sbagliano film, e altri come Jacques Doillon con "Rodin" e Arnaud Desplechin con "Les Fantômes d'Ismaël" non sono al meglio della forma, allora il risultato è un concorso di livello molto basso, a volte imbarazzante, vedi "L'Amant Double" di François Ozon o "Okja" di Bong Joon-ho. Non si capisce, però, perché un potente film americano come "Wind River" di Taylor Sheridan sia rimasto in Un Certain Regard o, vista la selezione francese in concorso, perché "L'Atelier" di Cantet sia rimasto anch'esso relegato in Un Certain Regard, o perché il miglior Takashi Miike degli ultimi anni, "Blade of the Immortal", sia rimasto fuori concorso.
Il verdetto finale, allora, non fa che riassumere questa mediocrità, con un'improbabile Palma d'oro alla commedia svedese di Ruben Östlund "The Square", il Premio alla regia all'elegante film di Sofia Coppola "The Beguiled", remake di "La notte brava del soldato Jonathan" di Don Siegel con Clint Eastwood, e il Gran Premio Speciale della giuria al film di Robin Campillo. Sicuramente meritava di più "Loveless" di Andrey Zvyagintsev a cui è stato assegnato un misero Premio della giuria. Della cerimonia di chiusura ha infastidito tutta l'ostentata grandeur per celebrare l'anniversario della settantesima edizione, quando anche Cannes ha dimostrato che di certo non esiste nulla, che anche i grandi autori possono sbagliare o deludere, che forse, da qualche anno, il festival francese cerca pochissimo la novità e si adagia su nomi che o fanno sempre lo stesso film o sono in fase calante. Aspettando Venezia e Toronto, Frémaux farà bene a riscoprire alcune cinematografie, quella dell'America Latina ad esempio, da anni ignorata, a riscoprire talenti americani indie e a essere un po' più umile. Perché tanto Cannes rimarrà sempre Cannes.