Come imparare a ridere di tutto. Anche della morte. Anche della malattia. Olivier Nakache e Eric Toledano hanno imparato con gli occhi fissi sul nostro cinema dei Sessanta e dei Settanta, con le commedie cariche di dolore e comicità di Risi e di Scola
Hanno imparato a ridere anche "su ciò che è triste, deprimente, poco edificante, persino meschino e un po' squallido" e sono arrivati a questo piccolo grande capolavoro di comicità che è "Intouchables" , in Italia "Quasi amici" da venerdì nei cinema in 300 copie. Con scia: di remake americano ("Posso dirvi che Harvey Weinstein ha già acquistato i diritti e forse il film si farà con Colin Firth") e probabile remake italiano, "a patto-dicono loro-che si resti fedeli allo spirito del film senza scivolare nel melò, cioè va bene un remake ma la storia deve restare questa autentica e senza eccessi".
Intanto in Italia ci si sta già lavorando: "Abbiamo i diritti anche per il remake - spiega l'amministratore di Medusa, che distribuisce il film, Gian Paolo Letta - ci stiamo lavorando e le nostre idee sono abbastanza avanzate".
Intanto è da non perdere questa improbabile (ma verissima perché nella storia tutto è vero) amicizia tra un giovane senegalese immigrato (Omar Sy) e un ricco aristocratico (François Cluzet), di fatto un disadattato e un disabile, di fatto due mondi che sembrano scorrere paralleli, senza potersi sfiorare, almeno finchè non si scoprono vicini. Driss, da disoccupato cronico, diventerà il badante del tetraplegico più indolente del mondo, Philippe, e tutti due impareranno una nuova vita. Letteralmente. Perchè il giovane senegalese ha disperato bisogno di regole, di uno straccio di rigore e di responsabilità da assumersi e il vecchio disperato bisogno di vita azzannata, verace, istintiva, schietta e senza filtri rallentanti. Tutti e due devono, insomma, riconfigurarsi per crescere o per non morire. E devono farlo oltre le solite ipocrisie del politicamente corretta. Come dicono i due registi ( a Roma per la presentazione del film), "siamo stati sedotti dalla storia e volevamo raccontare un argomento difficile come l'handicap, non solo fisico, ma anche quello sociale, in maniera diversa, con umorismo e al di là delle barriere. E il solo modo per farlo era fregarsene del politicamente corretto. Anche perché i due protagonisti si guardano in modo crudo, non mediato da ipocrisie o eufemismi e l'amicizia vera che nasce tra loro vale più di qualunque discorso politicamente corretto".
Ma da dove sono partiti i due registi , qui alla loro quarta collaborazione? "Tutto è iniziato nel 2003 mentre stavamo guardando un documentario che ci ha colpiti "A la vie, a la mort" . Il documentario raccontava la storia di un incontro, quello tra un paraplegico e un badante immigrato. Ci aveva molto colpito e cercavamo anche un ruolo per Omar Sy che aveva già lavorato con noi ma sentivamo che non aveva ancora espresso tutte le sue potenzialità. Questo film glielo avrebbe permesso. E la storia era bellissima, irresistibile. Una storia di individui che in situazioni difficili ed estreme riescono a conservare il senso dell'umorismo e la voglia di sorridere. Prima di procedere con la lavorazione abbiamo incontrato il vero Philippe che vive in Marocco e si è risposato. Ci ha detto che se volevamo fare questo film dovevamo trattare la vicenda con ironia oppure non se ne faceva nulla. E così abbiamo fatto".
Allora correte a ridere (e pensare) di fronte a questa dimostrazione coraggiosa del fatto che "il nostro mondo, ricco eppure dissanguato di vita, ha bisogno di quello nuovo, che viene da fuori, per ritrovare un senso e un orizzonte inedito".