Nella terribile New York degli anni 80, un burattinaio di successo e il suo alter ego mostruoso sono alla disperata ricerca di un bimbo scomparso e al centro di una serie Netflix decisamente sovraccarica e non priva di cliché, ma avvincente ed emozionante
Certamente tra i titoli più interessanti di un 2024 del mondo seriale non propriamente ricco di uscite notevoli, "Eric" prende il nome da un mostro bianco-azzurro dalla pelliccia arruffata (una sorta di variante sgargiante del Gruffalo di Julia Donaldson) e la parlantina scurrile nato dalla fantasia di Edgar (il piccolo Ivan Morris Howe). Quando il bimbo si perde nel sottosuolo della New York degli anni 80, il mostro diventa il compagno di viaggio di Vincent (Benedict Cumberbatch) e lo segue alla disperata ricerca del figliolo. Burattinaio e creatore di un programma Tv di successo, Vincent non è però il più amorevole dei padri, è anzi iroso e distratto, incline all’alcolismo e in parte (prevedibilmente) responsabile della sparizione di Edgar. Il suo alter ego mostruoso non è quindi dei più ortodossi, è anzi sboccato ed estremamente diretto quando si tratta di rimproverare crudelmente il compagno di viaggio, progressivamente più eroso da sensi di colpa e droghe.
Le premesse sulle quali la celebrata showrunner e sceneggiatrice cinematografica Abi Morgan (ha nel carniere le sceneggiature, ad esempio, di "Shame", "The Hour" e "Suffragette") ha costruito "Eric" sono dunque molto semplici, così come semplice è la conclusione delle vicende – che, non contestualizzata a dovere, verrebbe da definire come la cosiddetta "americanata". Al netto dell’elemento fantastico, rappresentato dal mostro immaginario che accompagna Vincent alla ricerca del figliolo, si tratta dunque del tipico dramma investigativo con la centro la scomparsa di un minore. Sono però numerosi gli aspetti e gli spunti di interesse di un prodotto decisamente meno semplice di quanto apparirebbe a un primo, superficiale sguardo.
Anzitutto "Eric" può contare su un protagonista tutt’altro che scontato o piatto. Un antieroe ambiguo e disfunzionale che Cumberbatch ha caratterizzato con spessore e la giusta dose di istrionismo. Vincent ha un passato complicato, adombrato da una figura paterna odiosa e da una materna più comprensiva ma lassista, che insieme ne hanno fatto un uomo autoindulgente e autodistruttivo – lo conosciamo infatti quando è sul punto di essere fatto fuori dal suo stesso programma televisiva e la moglie Cassie (Gabi Hoffmann), segretamente incinta di un altro, ha deciso di lasciarlo. Si tratta in tutto e per tutto una figura odiosa, tratteggiata dalla sceneggiatura, per mezzo dell’opinione pubblica, come il colpevole dello smarrimento di Edgar. È però anche un genio trasandato, a suo modo schivo e sensibile, che l’attore inglese nasconde all’occorrenza in una barricata di sciarponi e vestiti invernali a cipolla, evidenziandone così la sfera emotiva fragile e bisognosa di riparo.
L’elemento più ambizioso di "Eric" è la ricostruzione che fa della New York anni 80, lontanissima da quella puramente retromaniaca che ricorre nelle produzioni televisive contemporanee – specie di casa Netflix. Certo, con queste ultime condivide lo stereotipato uso di color grading e correction, ma fortunatamente oltre alla patina c’è dell’altro, tantissimo altro.
Attraverso una rosa di personaggi ampia e variegata, la Morgan ha messo su un mosaico terribile e maestoso, che cerca di toccare tutte le piaghe che, dietro le immagini da copertina, affliggevano la città simbolo degli USA. L’omofobia, lo spettro dell’AIDS, il razzismo, lo squilibrio sociale tra classi, la gentrificazione selvaggia, gli appalti truccati, la corruzione serpeggiante, la vita nel sottosuolo, l’abuso di crack ed eroina, il traffico sessuale di minori immigrati. Un mondo marcio fino al midollo che emerge man mano che l’indefesso ispettore (McKinley Belcher III), particolarmente osteggiato perché nero e omosessuale, prosegue la sua terribile indagine verso verità tanto terribili quanto ampie nelle sfere che coinvolgono.
Politici e poliziotti corrotti, losche ditte di costruzione e di smaltimento rifiuti compongono un violento quadro scorsesiano, mentre invece i poveracci che vivono nei binari morti della metropolitana, tanto dediti al crack quanto al culto di J.M. Basquiat, ricordano le comunità delle prime opere di Spike Lee – guarda caso entrambi autori legati a strettissimo filo con la Grande Mela. L’affresco d’epoca che la serie cerca di imbastire è forse troppo ambizioso e, seppur pregnante, finisce col lasciare qualche lembo di trama irrisolto o risolto troppo frettolosamente.
È, infine, molto interessante l’uso fatto dagli showrunner del lieto fine, che se da una parte risolve con copiose dosi di saccarosio l’odissea di Edgar, Eric e (soprattutto) Vincent, d’altro canto si presta a una lettura molto amara. L’indagine di Ledroit segue infatti non soltanto la sparizione di Edgar, ma anche quella del figlio di una disperata mamma di colore, Cecile (Adepero Oduye), con il quale il destino e la vicinanza dell’opinione pubblica non saranno ugualmente empatici. Il messaggio che sembra passare è dunque che in una città crudele come New York il lieto fine sia prerogativa di chi ha la pelle bianca e un buon conto bancario.
Ci sono un po’ di cose che non tornano in "Eric", dalle soluzioni visive abusate a qualche furberia della trama o in sede di colonna sonora – ricca di sorprese che vanno dai Can a Terry Callier, ma anche di classici piuttosto scontati la cui presenza sfocia nella ruffianeria – "A Forest" dei Cure e "Heroin" dei Velvet Underground & Nico e diversi altri. Non inficiano però una visione avvincente, finanche potente in alcuni frangenti, resa tale soprattutto da un cast eccellente, sia nelle prime voci che nel suo impianto corale.
titolo:
Eric
titolo originale:
Eric
canale originale:
Netflix
canale italiano:
Netflix
creatore:
Abi Morgan
produttori esecutivi:
Benedict Cumberbatch, Lucy Forbes, Lucy Dyke
cast:
Benedict Cumberbatch, Gabi Hoffmann, Dan Fogler, McKinley Belcher III, Ivan Morris Howe, Bamar Kane, Jose Pimentao, Jeff Hephner
anni:
2024