Ideata da Francesca Manieri e diretta tra gli altri da Matteo Rovere, la serie Netflix ispirata alla vita e alla carriera del pornodivo Rocco Siffredi è un prodotto ben confezionato e godibile, che però fallisce nel restituire la complessità del suo protagonista
Una delle critiche ex ante, invero molto italiana, mosse a "Supersex" riguarda la sua stessa ragion d'essere. Perché realizzare una serie su Rocco Siffredi? È la domanda che lo stesso Siffredi e Alessandro Borghi, che interpreta il pornodivo nella serie prodotta da Groenlandia per Netflix Italia, si sono visti rivolgere da numerosi utenti in una sessione live organizzata dall'emittente streaming. Con il solito savoir-faire e la grande ironia che lo contraddistingue, Siffredi ha risposto agli scettici che ogni giorno vengono prodotte serie su personaggi di gran lunga peggiori e maggiormente diseducativi di lui, riferendosi molto probabilmente a gangster e assassini seriali.
In realtà motivi per realizzare una serie su Rocco Siffredi ce ne sono: non sono né pochi, né da poco. Ne facciamo un breve sunto, perché in essi risiede la ragione del parziale fallimento della serie ideata da Francesca Manieri, facendone di fatti la più classica delle occasioni mancate.
Anzitutto, pur sembrando una forzatura politicamente scorretta, Siffredi se non è l'attore italiano più conosciuto al mondo, poco ci manca. La sua carriera ha attraversato praticamente tutte le fasi di vita del porno negli ultimi quarant'anni, ed escludendo i primordi degli anni Settanta (da "Gola profonda" in poi), epoca in cui Siffredi era ancora un bambino, non c'è stato decennio che il nostro supereroe non abbia vissuto in pieno e segnato.
Siffredi è stato quindi protagonista del cambiamento della società italiana negli anni Ottanta, della Milano da bere craxiana con Riccardo Schicchi, Moana Pozzi e Ilona Staller. Ha vissuto in prima persona i rivoluzionari anni Novanta, con la pornografia che entra persino a Cannes, sino a tutte le recenti evoluzioni degli ultimi vent'anni.
Una vita costantemente divisa in due, tra il supereroe Rocco Siffredi e l'uomo Rocco Tano (suo cognome di famiglia), tra l'istinto che proviene dall'es più profondo che spinge a realizzare la propria indole a qualunque costo e i limiti imposti dalla società e dalla famiglia che suggerirebbero di trovare un compromesso. Una figura non priva di ombre importanti, come la dipendenza dal sesso e l'accusa di proporre, specie nella sua carriera da produttore, un modello pornografico fortemente segnato da mascolinità tossica.
La serie "Supersex" cerca quindi di mettere in evidenza alcuni di questi aspetti, la duplicità tra quello che potrebbe sembrare la realizzazione del sogno di ogni uomo comunque (poter avere ogni donna a sua disposizione) e un rovescio della medaglia fatto di solitudine e fantasmi, scaturiti dall'impossibilità di condurre una relazione stabile e dal sopraggiungere della succitata dipendenza.
Due facce della stessa medaglia proposte dalla serie sin dalla rappresentazione di un'infanzia costellata da problemi economici familiari, segnata da un padre poco incline a incoraggiare il futuro dei figli e, infine, dalla tragedia vissuta dal fratello disabile. Per buona parte, certamente la più compiuta, la serie spinge dunque verso un coming of age deviato che vede in Rocco Tano un simbolo della ricerca della propria libertà a qualunque costo, contro tutto e tutti, contro ogni pregiudizio morale ed etico. Una libertà estrema che ha il suo prezzo da pagare.
In una scena della serie, la mamma timorata di Dio di Rocco giace sul letto di morte e chiede al figlio: "ma tu glielo metti davvero dentro a tutte quelle?". Rocco risponde sornione in dialetto abruzzese: "No, glielo metto di lato."
Date tutte le riflessioni di cui sopra, l'impressione generale è che "Supersex", al contrario del suo dotato protagonista, lo metta effettivamente di lato, invece di penetrare con decisione nelle pieghe di una figura enormemente interessante come quella di Siffredi. Proponendo soltanto una visione laterale di quello che il pornodivo, regista e produttore ha rappresentato, nel bene e nel male, per il mondo del porno e in un certo qual modo per la cultura pop italiana.
Piuttosto che sulla rilevanza e l'intelligenza del suo protagonista, la serie insiste continuamente sul romanzamento della vita del pornodivo. Invece che connotarne la rilevanza storico-sociale e quindi affermare la necessità della sua stessa realizzazione, la serie smarrisce il suo senso, dilungandosi in un fantasioso e ripetitivo dramma che vede come protagonista, più che Siffredi, un fantomatico e tormentato fratello di nome Tommaso (Adriano Giannini) e la sua compagna Lucia (Jasmine Trinca). Per stabilire le ragioni e le cause dietro la formazione del mito di Rocco Siffredi, "Supersex" evita dunque di approfondire il mito stesso e le sue molteplici implicazioni.
Invece di sprecare minuti su minuti sul faccione dolente e strepitante di Giannini Jr impegnato nell'ennesima paturnia o a spaccare sedie in un ristorante, si poteva ad esempio indagare sulle divergenze tra Siffredi e Schicchi (un ottimo Vincenzo Nemolato) o approfondire che genere di rivoluzione Siffredi stesse inseguendo o, ancora, scendere più a fondo nell'incubo dell'Aids che scosse a fondo l'industria del porno.
Pur perdendo le molteplici occasioni offerte da un personaggio stratificato e potente come Rocco Siffredi, "Supersex" è comunque una visione gradevole e scorrevole. La mano abile di Matteo Rovere, dietro la serie sia come produttore che come regista di tre episodi, si avverte dalla buona direzione degli attori e da una messinscena convincente in tutte i registri utilizzati. Il montaggio agile permette alla storia di barcamenarsi plasticamente su più piani temporali, tanto da rendere il solito color grading di casa Netflix utilizzato per gli anni passati come un mero accessorio. Ottimo lo sforzo fatto da costumisti e scenografi, capaci di restituire fulgidamente la Parigi bohémienne a cavallo di anni Ottanta e Novanta, la provincia abruzzese dimenticata da Dio e le ville losangeline del porno più patinato.
Doveroso, infine, un plauso a Borghi, faccia, corpo (e anche membro) al centro di un progetto che senza un attore protagonista convincente non avrebbe mai potuto funzionare. Senza l'ausilio di make-up, se non per l'iconico ciuffo di Siffredi, l'attore romano ha prodotto un'interpretazione magnetica, fatta di sguardi intensi, increspature facciali e risate nervose. Senza ombra di dubbio uno dei migliori interpreti italiani della sua generazione, in un ruolo difficile e lontano dalla sua comfort zone.
titolo:
Supersex
titolo originale:
Supersex
canale originale:
Netflix
canale italiano:
Netflix
creatore:
Francesca Manieri
produttori esecutivi:
Elena Recchia, Paolo Lucarini
cast:
Alessandro Borghi, Adriano Giannini, Jasmine Trinca, Jade Pedri, Saul Nanni, Linda Caridi, Tania Garibba, Vincenzo Nemolato
anni:
2024