A quarant'anni di distanza dall'adattamento cinematografico di Uli Edel, tornano le vicissitudini di Christiane F. e i "ragazzi dello zoo di Berlino", catapultati dentro il loro abisso di dipendenza e prostituzione alla fine degli anni Settanta. Una rivisitazione televisiva atemporale, ricca di anacronismi e accompagnata da uno stile sgargiante e iperrealistico
Nel saggio "Spettri della mia vita", il critico britannico Mark Fisher individua nell'anacronismo una delle caratteristiche dei prodotti culturali del nostro tempo. Citando esempi provenienti dalla musica e dal cinema, Fisher si sofferma sulla mancata collocazione storica di svariate opere della cosiddetta postmodernità, le quali apparterrebbero, invece, a un’ipotetica epoca senza tempo. La presenza degli anacronismi conduce, dunque, a una sfocatura della contemporaneità ufficiale: è questo uno dei risultati a cui giunge anche la serie "Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino", prodotta da Amazon Studios e disponibile da maggio sulla piattaforma Prime Video. Le vicissitudini di Christiane F. e del suo gruppo di amici sono ufficialmente ambientate alla fine degli anni Settanta ma, mediante la presenza di inserti di vario tipo (iconografici, musicali, industriali, comportamentali), appartenenti a epoche diverse, avvicina la serie più a un incubo postmoderno che a uno spaccato di vita vissuta, com’era nelle intenzioni dell’opera originale.
Il libro "Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino" nacque come resoconto delle interviste condotte nel 1978 da due giornalisti dello Stern, il popolare settimanale tedesco, con la quattordicenne Christiane Felscherinow, in seguito a un processo dove la giovanissima era imputata. Il racconto ai cronisti acquisì però una curvatura differente, in parte riconducibile all'intelligenza della ragazza nonché alla sua esperienza di vita, espressione di un fenomeno sotterraneo eppure conosciuto, per certi versi dunque paradigmatico. Il reportage si trasformò così in un crudo romanzo-verità, diventando quasi immediatamente un bestseller internazionale, che deflagrò come una bomba nella società dell'epoca, poiché riuscì a offrire uno spaccato dell'uso in età preadolescenziale delle sostanze stupefacenti, in particolar modo dell'eroina, nonché del fenomeno della prostituzione minorile, diffuso in alcune zone della capitale tedesca. Il titolo originale del libro, "Wir Kinder vom Bahnhof Zoo", difatti, indica bambini piuttosto che ragazzi e fa riferimento alla fermata della stazione adiacente allo zoo berlinese, palcoscenico, insieme alla Ku'damm, delle vicende narrate.
In seguito al successo del libro, fu prodotta la trasposizione cinematografica qualche anno più tardi, nel 1981. Inizialmente il progetto fu affidato all'esperto regista tedesco Roland Klick ma, in seguito a problemi coi produttori, le riprese furono assegnate a Uli Edel, all'epoca all’esordio (firmerà anni dopo "La banda Baader Meinhof").
Christiane è un'adolescente berlinese, trasferitasi con i genitori dalla campagna nella capitale, che si lascia attrarre dal mondo trasgressivo del Sound, la discoteca più in voga della città. S'innamora di un compagno di scuola, ma il flirt gira a vuoto; a casa, i genitori sono terribilmente diversi tra loro, e la ragazza non può far altro che assistere impotente alle loro frequenti crisi. Così, trova rimedio alla frustante quotidianità nelle prime esperienze con la droga insieme alle amiche Stella e Babsi. La prima rappresenta per lei un modello di anticonformismo e trasgressione, a partire dalla sua situazione famigliare disgregata, dalla libertà che possiede nell'uscire di casa e fare tardi, dall'uso disinvolto che fa delle sostanze, nonché per la mancanza di pelo sullo stomaco, quella sensibilità e in fondo candore che Christiane possiede, ma che intuisce dovrà lasciarsi alle spalle, se vuole sopravvivere in una città come Berlino. Babsi sembra, invece, un angelo caduto, una principessa imprigionata in una dimora lussuosa dove vive quasi sorvegliata. Ha talento per il disegno, ma la sua sensibilità è accompagnata dalla una presunta instabilità mentale, almeno è questo ciò che gli altri percepiscono in lei. Il suo volto bambinesco, la sua bellezza così innocente e pura è in perenne contrasto con i suoi comportamenti: la ricerca dell'oblio, l’amore impossibile verso il deejay del Sound, molto più grande di lei, la voglia di inabissarsi nel gorgo della droga, un richiamo che è una vertigine amata e odiata allo stesso tempo, a cui però è impossibile rinunciare. Così, accompagnata da queste due presenze femminili, così diverse tra loro, Christiane farà la conoscenza di Axel, un giovanissimo operaio che fa uso di eroina. Il ragazzo si innamorerà di lei, ma Christiane gli preferirà il suo amico, il più dannato Benno, e comincerà anche lei a bucarsi.
Tornando sul tema degli anacronismi presenti in "Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino", accanto alle hit di David Bowie fanno eco la musica techno, l'hip-hop e l'indie-rock contemporaneo, come Florence and the Machine, Cigarettes After Sex, The Heavy e altre band; anche le Audi Cabrio, che scorrazzano per Berlino Ovest, sono un chiaro riferimento ai decenni successivi. Persino il modo di atteggiarsi e di parlare dei protagonisti, nonché di vestirsi, ne confermano la dissociazione dall'epoca nella quale vivono, e dunque l'appartenenza a un'altra, atemporale, più vicina alla nostra, quasi fossero la proiezione contemporanea degli stessi personaggi che interpretano.
La regia degli otto episodi, affidata a Philipp Kadelbach, che qualche anno fa aveva firmato la discussa ma riuscita miniserie sulla Seconda guerra mondiale "Generation War", propone un coacervo di pulsioni iperrealistiche, pronte a rimarcare il destino di Christiane e dei suoi amici con un impianto volutamente sovraesposto. Difatti, le riprese in soggettiva di narici che sniffano, dei liquidi che viaggiano dentro le siringhe e poi nelle vene, le immagini di tunnel e aghi, i corpi strafatti che danzano verso il soffitto della discoteca o che sprofondano nei letti, le pareti di casa che si allargano verso altri mondi, sono riproposti senza soluzione di continuità: in questo, la mitologia del buco assomiglia a ciò che la Generazione X aveva visto venticinque anni fa al cinema, col celebre "Trainspotting" del 1996. Nel film di Danny Boyle, tuttavia, l'irriverenza di Mark Renton e soci derivava da un romanzo pieno di situazioni al limite del grottesco, che in qualche modo anestetizzavano con un ghigno caustico la tragicità della dipendenza, anche perché – pur ispirati a certi ambienti punk scozzesi di fine anni 80 – i racconti originari di Irvine Welsh erano sostanzialmente fiction. Invece, quella di Christiane F. è una storia vera, e tutto l’impianto lussureggiante che la serie propone è ad abuso e consumo del nuovo pubblico dello streaming: come la disintossicazione fai-da-te di Christiane e del fidanzatino Benno, vero pugno allo stomaco nel film di Edel, che qui viene rappresentata in modalità cool.
Altro strappo di questa versione rispetto all’originale è la scelta di puntare su personaggi e attori decisamente più adulti: la nuova Christiane, interpretata dalla ventunenne Jana McKinnon, così come Stella, Babsi e i loro amici Axel, Benno (il corrispettivo di Detlef del romanzo) e Michi, un altro del gruppo, sono dei ragazzi alla fine dell'adolescenza; così, le loro terribili vicissitudini, costretti a farsi negli squallidi bagni pubblici della stazione e a battere sulla cosiddetta Babystrich (il marciapiede dei bambini), suonano un po’ meno atroci, anche perché rielaborate dentro l’atteggiamento ribelle e provocatorio, persino un po’ trendy, tipico di quell’età, invece che nel vuoto cosmico di chi non è diventato ancora un ragazzo.
Inoltre, il taglio delle storie si fa decisamente più corale, e nonostante Christiane ne resti il centro, "Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino" prova a raccontare i suoi amici e le loro famiglie a tutto tondo. Una scelta che allarga il campo della narrazione, logicamente legata alla lunga durata; però, la possibilità di spalmare il racconto su diverse ore non viene sfruttata per narrare con un respiro più ampio la progressiva alienazione della protagonista. Difatti, non c’è traccia dell’infanzia di Christiane, trascorsa tra gli squallidi casermoni berlinesi di Gropiusstadt, che costituivano invece nel libro un incipit fondamentale per capire il malessere, legato alla voce in prima persona, nuda e affilata, della giovanissima narratrice.
titolo:
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino
titolo originale:
Wir Kinder vom Bahnhof Zoo
canale originale:
Prime Video
canale italiano:
Prime Video
creatore:
Annette Hess
produttori esecutivi:
Christine Rothe
cast:
Lena Urzendowsky, Michelangelo Fortuzzi, Jana McKinnon, Jeremias Meyer, Bruno Alexander, Bernd Hölscher, Günther Breitweg, Ralf Dittrich, Angelina Häntsch
anni:
2021