Un coinvolgente racconto di emancipazione femminile e una storia d’amore osteggiata prendono vita in un’acclamata miniserie indonesiana sospesa tra melo contemporaneo e period drama
Sul letto di morte Soeraja (Ario Bayu), padrone e presidente di una delle più grandi compagnie del tabacco indonesiano, supplica suo figlio minore Lebas (Arya Saloka) di cercare una donna misteriosa, Dasiyah (Dian Sastrowardoyo). Gli unici indizi di cui il più scapestrato dei rampolli della famiglia dispone sono delle vecchie lettere della donna, una fotografia d’epoca e un contatto al museo locale delle kretek (il titolo originale della miniserie è per l’appunto “Gadis Kretek”), le tipiche sigarette aromatizzate indonesiane. Al museo Lebas incontra la dolce dottoressa Arum (Putri Marino), lì per donare nuovi pezzi da collezione. Nel primo dei numerosi colpi di scena di “Cigarette Girl”, circa uno per ciascuno dei cinque episodi che compongono la miniserie, i due scopriranno di essere più connessi di quanto avrebbero mai potuto immaginare.
Attraverso le lettere in possesso di Lebas e altre che troveranno in seguito, i giovani si addentreranno in una storia fitta di segreti, rivelazioni, amore tormentato e sensi di colpa. Per tutta la sua durata “Cigarette Girl” alterna due linee temporali: una ambientata nel presente, ai tempi dell’indagine di Lebas e Arum, e una a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, in un’Indonesia sulla quale ancora aleggia lo spettro della dominazione olandese (l’indipendenza era stata dichiarata nel 1949) e incombe la terribile dittatura di Suharto.
In un momento storico in cui i period drama occidentali (“Bridgerton”, il nostrano “Lidia Poet”, ecc. ecc.) sembrano dover necessariamente pagare il dazio a trovate visive e narrative moderne e sorprendenti, “Cigarette Girl” è improntata nella più classica delle maniere e trova la sua forza in una messinscena imperiosa e rigorosa. Tratta dall’omonimo libro di Ratih Kumala (che figura anche tra gli sceneggiatori della serie), la storia raccontata è coinvolgente, la ricostruzione storica attenta e sfaccettata. Attraverso le vicissitudini di Raja e Dasiyah, non soltanto ci si addentra in un periodo storico tumultuoso e doloroso per la nazione asiatica, ma si gode anche della raffigurazione pittoresca delle attività locali d’epoca, dei piccoli centri abitati lontani da Giacarta, ricchi di vividi mercati, tipografie e altre placide attività.
Grazie anche all’occhio di due registe donne (Ifa Isfansyah e Kamila Andini), la serie funziona egregiamente anche come potente storia di emancipazione femminile, quella per l’appunto di Dasiyah: prima ancora di essere donna innamorata e prigioniera resiliente, è una ragazza incapace di accettare le regole di una società profondamente maschilista, dove le sue coetanee vengono utilizzate come merce di scambio per matrimoni di convenienza e alle quali, ad esempio, non è permesso, a causa di un’antica superstizione, di entrare nelle stanze adibite alla creazione degli aromi delle kretek.
La necessità di ricercare il cliffhanger finale in ogni episodio potrebbe essere vista da alcuni in maniera negativa, ma si tratterebbe di cercare il pelo nell’uovo in una scrittura solida, dal sapore classico e fedele alla storia indonesiana, a cui corrisponde una ricchezza formale tale da corroborare la ricostruzione del periodo. Gli abiti d’epoca, siano essi le divise dei soldati, le camicie di lino in tinta sabbia dei coloni o i raffinati abiti della bellissima Dasiyah, sono una gioia per gli occhi, così come le ricostruzioni delle case dei ricchi e gli interni dei treni diretti a Giacarta. La fotografia separa la linea temporale contemporanea da quella passata con un color grading marcato ma funzionale. Un filtro neutro per le scene ai nostri giorni e uno ocra a intingere nella malinconia gli anni passati, esaltando al contempo i ricami degli abiti, i giardini in fiore e i tramonti color pesca.
Nel corso di cinque episodi di circa un’ora ciascuno, “Cigarette Girl” mette in piedi un melodramma dal carattere classico, capace di riempire di bellezza gli occhi di chi guarda, incuriosire verso un contesto storico poco battuto alle nostre longitudini e ispirare attraverso una storia d’amore semplice, ma mai scontata.