Fenomenologia di Willard Carroll Smith, in arte Will. C'era una volta un rapper di strada che, grazie a una fortunatissima sit-com liberamente ispirata alla propria vita, riesce a diventare uno dei volti più celebri e amati del panorama televisivo. Siamo nel pieno degli anni 90 e il "Principe di Bel Air", canotte colorate e jeans calati bassi, infila uno dietro l'altro successi da hit parade e blockbuster ormai entrati di diritto nella storia di quelli che Wyatt ha definito gli High Concept Movie di matrice hollywoddiana: "Indipendence Day", "Nemico pubblico" e "Men in Black", giusto per citare qualche titolo.
Complici gli anni che passano (passano per tutti, anche per i Principi di Bel Air) e qualche inciampo al botteghino, la stella di Smith sembra appannarsi un poco. O almeno quel che basta per fargli scegliere di smettere i panni da rapper (purtroppo non possiamo ancora dire altrettanto dei suoi figli) e di dedicarsi pienamente alla carriera cinematografica
Sotto il nume tutelare di registi come Robert Redford, Michael Mann e Gabriele Muccino, l'ormai ex "super fico" Smith, pur senza rinunciare a roboanti action movie macina incassi, inizia a sposare progetti meno redditizi e più impegnativi, sia come interprete sia come produttore, che gli permettono di dar prova del proprio multiforme talento d'attore.
"Zona d'ombra" appartiene a questo secondo filone della sua carriera. Nel film, tratto da una storia vera raccontata per la prima volta nel 2009 dal magazine "GQ", Smith interpreta Bennett Omalu, neuropatologo di origine africane d'istanza a Pittsburgh. Una sorta di Forrest Gump della medicina forense, dall'animo gentile e ritroso, uno stakanovista dal cuore d'oro che parla ai propri "pazienti" prima di eseguire un'autopsia e che ha cura di usare bisturi nuovi di zecca per ognuno di loro.
Quando sul lettino d'ospedale finisce il corpo di Mike Webster, ex campione dei Pittsbourgh Steelers, il puntiglioso Omalu inizia una ricerca che lo porterà a effettuare, per primo, la diagnosi di Encefalite Traumatica Cronica (CTE), una malattia degenerativa del cervello causata dai violenti colpi inferti e subiti dagli atleti durante le partite di football. Dovrà lottare da solo e contro tutti per affermare la propria verità.
Un'altra storia à la Davide contro Golia, dunque, laddove Golia ha il volto grigio, cinico e impassibile della dirigenza della potentissima National Football League. L'ennesima storia di impegno e denuncia di una stagione cinematografica in cui Hollywood sembra aver riscoperto con successo la propria prestigiosa tradizione di cinema civile. Purtroppo però "Zona d'ombra" non ha né la tesa asciuttezza de "Il caso Spotlight" né la caustica incisività de "La grande scommessa".
La pellicola ricorda piuttosto un solido tv movie pomeridiano, che procede placido e distaccato, con ritmo eccessivamente lento e intenti dichiaratamente didattici, nel comporre l'agiografia laica di questo (anti)eroe di tutti i giorni.
La colpa è soprattutto dell'autore Peter Landesman che, a fronte di una regia priva di guizzi ma comunque composta e pudica, firma una sceneggiatura estremamente didascalica e scontata, appesantita oltretutto da un inutile sub plot romantico di cui non si coglie la necessità. Peggio, l'autore infarcisce il film di innumerevoli virate retoriche sulla presenza di Dio nelle nostre scelte, il peso del razzismo, il valore della verità e soprattutto dell'essere americani, ma puntualmente si rivela incapace di mettere a fuoco il bersaglio e affondare il colpo. Sbalordisce, per esempio, la grossolana superficialità con cui viene descritta l'intricata rete di interessi economici, politici, sociali e culturali sulla quale la NFL ha costruito e consolidato il proprio potere nel corso dei decenni. Uno spunto che, in mani ben più affilate e sicure, avrebbe potuto costituire la colonna portante dell'intero film.
"Zona d'ombra" trova dunque la sua unica ragion d'essere come veicolo divistico del (fin troppo) intenso Will Smith, che grazie alla sua prova mimetica a colpi di sguardi contriti e forte accento nigeriano (in originale) si è guadagnato una nomination ai Golden Globe. Un risultato da non sottovalutare per un film che, altrimenti, difficilmente avrebbe conosciuto l'onore della sala. E che non lo meriterebbe comunque.
cast:
Will Smith, Alec Baldwin, Albert Brooks, Gugu Mbatha-Raw, David Morse, Luke Wilson, Stephen Moyer, Eddie Marsan
regia:
Peter Landesman
titolo originale:
Concussion
distribuzione:
Sony Pictures
durata:
123'
produzione:
The Cantillon Company, Scott Free Productions, LStar Capital, The Shuman Company, Village Roadshow P
sceneggiatura:
Peter Landesman
fotografia:
Salvatore Totino
montaggio:
William Goldenberg
Storia vera di Bennett Omalu, il neuropatologo che, per primo, effettuò la diagnosi di Encefalite Traumatica Cronica (CTE), una malattia degenerativa del cervello causata dai violenti colpi inferti e subiti dagli atleti durante le partite di football.