"Words and Pictures" è un altro film statunitense che vuole narrare un classico incontro tra due persone mature che, pur diverse, sono destinate ad instaurare una storia d'amore.
Sono ovvi i caratteri dei due protagonisti, scontate le dinamiche, facilmente pronosticabile il finale. Nelle intenzioni, a spostare gli equlibri della storia amorosa, nonché dello sviluppo della trama, c'è la contrapposizione già tracciata dal titolo: parole e immagini, parole contro immagini.
Il dualismo è anche quello tra l'insegnante d'inglese Jack Marcus e la pittrice ed insegnante d'arte Dina Delsanto. I fugaci incontri scolastici tra i due sono all'insegna di un duello linguistico a colpi di parole; in un giuoco non sempre facilmente semplice da adattare in sede di doppiaggio ma, comunque, pedante e alla lunga stancante. Questa battaglia artistica tra sessi è quindi riversata in un concorso che attraversa tutto il tragitto che il film intraprende: tramite i lavori dei due professori e dei propri studenti, il potere dell'immagine riuscirà a sovrastare quello della parola oppure quest'ultimo sentenzierà la propria superiorità sull'aspetto visivo dell'arte? E' proprio necessario precisare che la morale finale non può fare a meno di nessuna delle due componenti?
I due schemini da seguire e da riempire sono un foglio bianco e una tela immacolata. L'uno contenente la sregolatezza del guascone Jack, la cui crisi parte da fallimenti sfociati nell'alcolismo e finisce in un azzardo letterario che non riesce a fare di meglio che rubare una poesia al figlio, l'altra pittrice astrattista afflitta da una malattia degenerativa che le impedisce libertà nei movimenti e ha finito con l'ostacolare, oltre a soddisfacenti esiti artistici, anche ipotesi sentimentali. Storie di due solitudini, in fin dei conti, di storie da tracciare e congiungere.
A voler essere generosi, è possibile intravedere nelle gesta quotidiane e nelle schermaglie amorose di questi due insegnanti una timida applicazione di metodi da contes moraux (o philosophique) dove arte e vita viaggiano inestricabilmente a braccetto. Ma senza scomodare alti nomi della storia del cinema, il film fatica a reggere anche il confronto con medi cineasti europei affezionati a tematiche analoghe (vedi i fratelli Larrieu), lo schematismo strozza la leggerezza, le incertezze di sceneggiatura rendono blando il ritmo, immobilizzando o lasciando alla deriva esili spunti - dal poco approfondito rapporto con il figlio ai disagi della malattia appena abbozzati - in modo da rendere la pellicola una esibizione di quel vuoto da riempire più che una esplorazione del cosa e del come riempirlo.
E lascia perplessi che la storia parallela in un primo momento più approfondita, quella dello studente sbruffoncello e la studentessa asiatica che lo respinge, ideale micro-specchio della cornice principale, venga praticamente dimenticata senza alcuna risoluzione.
L'anziano Fred Schepisi un tempo prometteva sottigliezze e ricche sfumature, ma da anni si limita ormai ad una messa in scena corretta e professionale. Non a caso l'unico motivo di interesse del film risiede come da copione nelle divertite prove attoriali delle due star con Clive Owen, problematico ma sensibile spaccone, che tiene testa all'algida ma affascinante professoressa di Juliette Binoche. Unica fiammella per donare calore alla pellicola.
cast:
Clive Owen, Juliette Binoche, Valerie Tian, Navid Negahban, Bruce Davison, Amy Brenneman, Adam DiMarco
regia:
Fred Schepisi
distribuzione:
Adler Entertainment
durata:
111'
produzione:
Latitude Productions, Lescaux Films
sceneggiatura:
Gerald Di Pego
fotografia:
Ian Baker
scenografie:
Hamish Purdy
montaggio:
Peter Honess
costumi:
Tish Monaghan
musiche:
Paul Grabowsky