Un amore sbocciato in età preadolescenziale rivive dodici anni dopo, al ritorno di Rebecca (Eva Green) da Tokyo. La parentesi idilliaca dura poco, perché Tommy muore in un incidente e Rebecca decide di dargli nuova vita facendosi impiantare nell'utero il suo clone.
Womb è il futuribile secondo Filegauf; la realtà che tende il braccio alla scienza e se ne fa inghiottire. Un estremo atto di fede nelle possibilità scientifiche che conduce dritti alle sue derive più oscure, l'eugenetica e la clonazione. La manomissione della natura; l'oscurantismo etico della scienza che travalica i limiti umani. Rebecca si rivolge a un centro che pratica la clonazione di individui defunti e, ossessionata dal ricordo di quell'amore appena ritrovato e già finito, decide di far crescere dentro di lei un nuovo Tommy. In una nuova vita. Clonazione che nasce dall'incapacità di elaborare il lutto e di accettare il corso naturale di vita e morte. La possessività di Rebecca andrà contro anche alla volontà di Tommy che si batteva proprio contro quel centro. Ne diventerà un prodotto. Una copia, come tante altre, che la gente schiva; impaurita da questa nuova generazione dell'onnipotenza scientifica.
Il regista non offre le coordinate spazio-temporali in cui la vicenda prende piede, ma ambienta la sua opera in un luogo nordico, freddo e sconfinato. Una baita nel mezzo del paesaggio nudo e ameno, carezzato dal movimento del mare d'intorno - come il feto dalla placenta - è il posto in cui Rebecca crescerà il suo bambino, in linea con il gelido minimalismo stilistico cui Filegauf decide di aderire per tutto il corso del film. Una scelta rischiosa, questa, poiché non rende subitanea l'adesione empatica dello spettatore, che di solito, anzi, ha un moto di rigetto. In questo caso, però, appare una scelta coerente con l'aridità del tessuto narrativo, anziché un neo strutturale. Il difetto, semmai, è da ricercarsi altrove; nella scelta di mostrare - con lungaggini superflue - il lato peccaminoso del rapporto incestuoso figlio-amante che non riesce a coinvolgere né a trasgredire, ma rimane sullo schermo. Algido e castrato. Sulla distopia morbosa mamma-figlio, amore filiale-amore sensuale si basa tutto il film, che però non si innalza dal livello superficiale cui rimane impantanato, rendendo la pellicola banale e fine a se stessa. Tutto ciò che un tema come quello della clonazione poteva offrire a livello contenutistico viene smussato dal regista fino a lasciare il fragile scheletro di un film remissivo, anziché audace.
cast:
Eva Green, Matt Smith, Lesley Manville, Peter Wight, István Lénárt
regia:
Benedek Fliegauf
distribuzione:
Bolero Film
durata:
105'
produzione:
Razor Film Produktion GmbH, Inforg Stúdió, Asap Films
sceneggiatura:
Benedek Fliegauf
fotografia:
Peter Szatmari
montaggio:
Xavier Box
musiche:
Max Richter